Una cinquantina di operai si stringono sotto a un minuscolo gazebo rosso con le insegne della Cgt. I giornalisti non possono assistere e vengono tenuti a debita distanza, ma da lontano, attraverso una specie di finestra di plastica, s’intravedono le mani incrociate dietro le schiene, sui giubbotti rossi e arancioni della Cgt o grigio-scuro della Total. Dal 27 settembre, alla raffineria Total di Gonfreville-L’Orcher, vicino a Le Havre, la scena si ripete sempre uguale: di giorno in giorno, gli operai votano per riconfermare lo sciopero, turno dopo turno, tre volte al giorno. Rivendicano un aumento di salario del 10%: 7% per far fronte all’inflazione e 3% «per la redistribuzione dei benefici». Il blocco ha mandato a secco i distributori di benzina, causando code, disagi e aprendo una crisi politica nazionale.

D’altronde, la «piattaforma Total» di Le Havre è la più grande del paese e assicura più del 20% della produzione di greggio in Francia. Piantata in mezzo all’estuario della Senna, è un’imponente megalopoli di silos e ciminiere, percorsa da un labirinto di tubi e tralicci, sulla quale aleggia una spessa puzza di petrolio.

Poco prima delle 14, gli operai escono dal minuscolo gazebo, dirigendosi verso le macchine, prima di accendere il motore ed entrare nello stabilimento. Un rappresentante della Cgt si avvicina al gruppetto di giornalisti in attesa. «Abbiamo votato per riconfermare lo sciopero fino al 27 ottobre», dice, assaporando lo stupore dei pochi giornalisti in attesa. Niente più «riconferma» giornaliera, ora si sciopera per almeno un’altra settimana, forse di più.

Il movimento delle raffinerie è scoppiato alla fine di settembre, ed è parso spegnersi lo scorso 14 ottobre, quando alcuni sindacati hanno firmato un accordo con la direzione di Total che prevede un aumento del salario del 5% (più 2% di «aumento individuale», quindi non per tutti). La Cgt ha rifiutato di firmare. Da allora, quasi tutte le altre raffinerie hanno ripreso a lavorare, tranne quella di Le Havre e quella di Feyzin, a sud di Lione.

«Il 27 ottobre il gruppo Total pubblicherà i risultati del terzo trimestre», spiega Pierre-Yves Hauguel, delegato Cgt. «Annunceranno dei benefici astronomici, vogliamo che sia chiaro a tutti che quello che chiediamo non è un semplice adeguamento sull’inflazione, ma una forma di ridistribuzione della ricchezza».

Pierre-Yves è operaio nello stabilimento da 28 anni e conosce a perfezione le minuzie del flusso del petrolio greggio dallo scarico allo stoccaggio. Spiega è raro che la mobilitazione prenda così tanto, così a fondo. «La rabbia è enorme», dice. Il problema dell’inflazione, secondo lui, è che si tratta di «salario che svanisce, letteralmente, che non verrà mai recuperato. Se non lo recuperiamo oggi, quella remunerazione lì sparirà per sempre dalle nostre buste paga. È un’umiliazione».

Il complesso della Total è diviso in due dalla route industrielle, che taglia in due la vallata petrolifera fino al mare. Dall’altro lato della carreggiata si staglia un’altra mega-struttura, del tutto simile alla raffineria vera e propria: l’impianto petrolchimico, dove si fabbrica la plastica.

Qui, gli operai hanno il turno un’ora dopo i loro colleghi della raffineria. Mentre questi ultimi stanno già entrando, i lavoratori del petrolchimico hanno appena cominciato a riunirsi. Sono una cinquantina, in semicerchio attorno ai cancelli. Non c’è il gazebo, ma un impianto con cassa e microfono in mezzo al piazzale, che alcuni delegati della Cgt stanno utilizzando per dirigere l’assemblea. Dopo aver approvato il blocco fino al 27, si discute in assemblea delle altre raffinerie che hanno mollato, e delle precettazioni ordinate dal governo con l’ausilio della gendarmerie, che hanno avuto la meglio sugli impianti più piccoli e meno sindacalizzati.

«Le precettazioni sono state molto violente, è naturale che il movimento sia scemato in seguito», spiega Johann Sonnet, operaio del petrolchimico, iscritto alla Cgt. «Quando hai la polizia che ti viene a cercare a casa a mezzanotte per obbligarti ad andare a lavorare alle 5, e che lo devi spiegare a tua moglie e ai tuoi figli, è un carico mentale non indifferente».

Il sito di Le Havre, tuttavia, è diverso dagli altri. È il cuore pulsante di un bacino industriale che (secondo le cifre della regione) dà lavoro a 50.000 persone, un luogo strategico e iper-sindacalizzato, con una solidarietà operaia sviluppata nei decenni. «È già successo che ci abbiano precettato, ma senza grandi risultati. Sanno che se ci mettono troppa pressione addosso, le altre imprese della zona potrebbero mettersi in sciopero», causando disagi ad altre imprese strategiche della filiera dei carburanti. Con i porti di scarico delle navi petroliere e gli altri impianti bloccati, «non uscirebbe neanche più quel poco di cherosene che ancora c’è oggi».

Al turno di notte, le assemblee durano meno. Attorno alle 9 di sera, le macchine degli operai ricominciano a occupare il piazzale davanti alla raffineria, mentre una trentina di lavoratori si dirige verso il gazebo. «La puzza di petrolio ti si attacca ai vestiti, ai capelli, ti rimane addosso per giorni», non c’è doccia che tenga, assicura Michel, operaio agli impianti elettrici, a Total dal 2001. «Alla puzza devi aggiungere gli orari, i turni di notte, 3 weekend su 5. Ho una famiglia, così dicono, perché io non li vedo mai» dice ridendo.

Con gli altri colleghi del turno di notte, Michel si ferma a discutere coi delegati della Cgt. Ancora niente, in tutta la giornata non c’è nessuna nuova notizia sulla trattativa vera e propria con la direzione locale. Il delegato del sindacato, Romuald Masson, anche lui della raffineria, assicura che «in questi giorni, la direzione sta semplicemente rifiutando il dialogo». È stanco, spazientito, fuma una sigaretta dopo l’altra. Spiega che sono giorni che non dorme, tra la mobilitazione e i turni di notte. «Lo sciopero ti prende tutto lo spazio nella testa, non pensi ad altro. Ti mangia il cervello».