Era il 2 ottobre 2018 quando il giornalista del Washington Post Jamal Khashoggi è stato attirato con l’inganno e poi ucciso nell’ambasciata saudita a Istanbul. Appena tre mesi prima, l’ex direttore della Nsa (National Security Agency) – sotto Bush e Obama – Keith Alexander accettava un contratto con l’Arabia Saudita per contribuire allo sviluppo del Prince Mohammed Bin Salman College of Cybersecurity, diretto dallo stesso uomo indicato dagli Stati uniti come artefice del piano per l’omicidio di Khashoggi: Saud al-Qahtani. Lo rivela il Washington Post in un’inchiesta sui contratti d’oro accettati da ufficiali dell’esercito degli Stati uniti in pensione per mettere le loro “competenze” al servizio di potenze straniere.

Un’attività consentita dalla legge Usa, previa approvazione del dipartimento di Stato. Ma sulla quale il governo ha sempre mantenuto la massima segretezza: solo dopo una battaglia legale durata due anni la testata americana ha ottenuto, ai sensi del Freedom of Information Act, le informazioni richieste su chi fossero, e a chi avessero venduto i propri servigi, i militari in pensione a partire dal 2015. Tra loro Alexander, che ha ottenuto l’approvazione per lavorare per i sauditi appena due mesi dopo le sanzioni imposte su al-Qahtani (novembre 2018) dal Tesoro, in quanto artefice dell’omicidio Khashoggi.

SONO 25 IN TOTALE i militari pensionati che hanno lavorato per Riyadh dal 2015, fa cui 15 generali e ammiragli che hanno offerto la propria consulenza al ministero della Difesa guidato dallo stesso principe ereditario Mohammed bin Salman. James L. Jones, ex comandante dei marine e consigliere per la sicurezza nazionale di Obama, ha partecipato per conto della corona saudita – insieme a un’altra decina di ex militari e dipendenti del Pentagono – alla riorganizzazione dell’esercito per renderlo più efficiente. Anche lui, nonostante in un’intervista si fosse detto «orripilato» dall’omicidio di Khashoggi, è rimasto nel Paese dopo l’ottobre 2018. Non solo: dal 2019 ha ampliato il proprio giro di affari con i sauditi, a suo dire con «l’incoraggiamento dell’amministrazione Trump».

Alcuni ex militari Usa hanno fatto lo stesso senza neanche chiedere l’autorizzazione, come l’ex comandante delle truppe Usa e Nato in Afghanistan, ed ex ambasciatore a Kabul, Karl Eikenberg. Che, riporta il WP, nelle sue biografie online si fregia del titolo di consigliere del Ministero della Difesa di Riyadh. E non perché avere l’autorizzazione sia difficile: sono più di 500 gli ex militari impiegati da potenze straniere individuati dall’inchiesta: l’imprimatur del dipartimento di Stato è stato concesso al 95% di loro.

E nella stragrande maggioranza dei casi i datori di lavoro sono i paesi del Golfo: Arabia saudita, Qatar, e in cima alla classifica gli Emirati arabi uniti, dove si sono diretti il 55% degli ex militari – ben 280. «Che hanno avuto – scrive il WP – un ruolo cruciale, benché largamente invisibile, nel potenziamento dei loro eserciti. Nel frattempo, le forze di sicurezza dei paesi del Golfo hanno continuato a violare i diritti umani dentro e fuori dai loro confini», come nel caso della sanguinosa guerra in Yemen.