«La Polizia è arrivata stamattina alle 8, mi hanno colpito in faccia, vedi, ecco il livido, mi hanno obbligato a lasciare la tenda, lì avevo tutto : cellulare, documenti, il sacco a pelo. Tutto. Adesso non ho più niente ». Ali è rassegnato. Ha appena perso tutto quel che aveva. Osserva torvo il bulldozer schiacciare la sua tenda verde, la sua casa negli ultimi due mesi.

Siamo a Parigi, dove circa duemila migranti sudanesi, eritrei, afgani e pakistani hanno creato degli accampamenti informali ai quattro angoli di Place de Stalingrad, nel nord della capitale francese. Lunedì scorso la polizia ha lanciato un’operazione di «controllo amministrativo» per verificare i documenti degli abitanti dell’accampamento. Trenta i migranti fermati, nessuno di loro è stato ancora rilasciato.

Gli accampamenti sorgono ai quattro angoli della piazza. La geografia delle tendopoli è disegnata dall’appartenenza a comunità linguistiche o etniche vicine.

C’è la comunità di lingua Pashtun che riunisce afghani e pakistani, quella di eritrei e etiopi di etnia Oromo, due comunità sudanesi. Ogni accampamento conta una quarantina di tende, i più fortunati le hanno piantate sotto il ponte dove fila la metropolitana, al riparo dalla pioggia. Gli altri si sono dovuti accontentare dei rami degli alberi. Nei pressi degli accampamenti sono solo 3 i bagni chimici disponibili. L’odore acido degli escrementi è insopportabile.

Tende, coperte, bottiglie, materassi, le fauci della ruspa inghiottiscono anche un piccolo succhietto per bambini. Aadil, guarda la scena con occhi inconsolabili. Ha più frontiere che anni alle spalle. Trascina a fatica una valigia nera con le ruote, è più alta di lui, si rovescia a più riprese. Attraversa la strada stringendo la mano della sua sorellina, Sara, 7 anni. Fa segno con una mano alle auto di fermarsi. La loro infanzia è stata sospesa sei mesi fa, quando con la loro famiglia hanno lasciato Konduz, nel nord-est dell’Afghanistan. «Siamo stati convocati, forse domani otterremo l’asilo», gioisce sua madre Nabeela, 30 anni, avvolta in un foulard grigio fumo. Ma è già la terza volta che vengono convocati a vuoto.

L’attenzione sugli accampamenti in Place de Stalingrad è notevolmente aumentata dopo lo sgombero della jungle di Calais.

François Guennoc, segretario dell’Auberge des migrants (associazione umanitaria presente anche a Calais), parla di tre-quattro mila migranti che non hanno voluto o potuto entrare nel dispositivo di accoglienza francese, lasciando il campo in modo indipendente. Molti hanno riparato nelle cittadine portuali sulla costa attorno a Calais, alcuni si sono diretti verso il Belgio, altri verso Parigi.

Nei giorni precedenti lo sgombero di Calais, le associazioni che si occupano della distribuzione di cibo in Place de Stalingrad fornivano circa 700 pasti. A seguito dello sgombero i numeri sono saliti : ogni sera più di 1000 persone si mettono in fila per ristorarsi con un piatto caldo.

La sindaca di Parigi Anne Hidalgo ha scritto nei giorni scorsi al ministro dell’Interno Cazeneuve ribadendo la necessità di sgomberare gli accampamenti in Place de Stalingrad. «Non sono i migranti di Calais quelli che sono venuti a Parigi», ha assicurato François Hollande. Ma non è chiaro. Quello che sembra certo è che lo sgombero avverrà entro il fine settimana.

Per impedire la costituzione di nuovi accampamenti sulle strade della capitale, la sindaca aveva annunciato a inizio settembre l’apertura di un «centro d’accoglienza umanitario» nei pressi di Porte de la Chapelle, nel nord della città. Avrebbe dovuto entrare in funzione già da metà ottobre, ma il progetto ha subito dei rallentamenti. Il centro dovrebbe prendersi carico dei migranti per un periodo che va dai cinque ai dieci giorni, per poi ripartirli nei vari Cao (Centres d’accueil et orientation) disseminati su tutto il territorio nazionale, gli stessi dove sono stati trasferiti i migranti di Calais. Il campo potrà ospitare fino a 600 persone e dovrebbe aprire le sue porte nei prossimi giorni, secondo Colombe Brossel, vice sindaco di Parigi. Ma la maggior parte dei migranti vuole raggiungere il Regno Unito. Difficilmente accetterà questa soluzione.

Nel nord della capitale è nata la variante urbana della jungle di Calais. L’accampamento si allarga, ogni giorno nuovi migranti raggiungono Parigi, ma in Place de Stalingrad non ci sono tende per tutti. Molti dormono per strada. Di notte la colonnina di mercurio sfiora lo zero.

La vita prosegue frenetica. Persone entrano ed escono dal metro, gli accampamenti sembrano ormai più un arredo urbano che un’emergenza umanitaria in carne ed ossa. Alcuni commercianti della zona si lamentano : «Questa situazione non è più sopportabile. Ho perso il 50% dei miei affari da quando queste persone vivono qui», dichiara il proprietario di un bar su Avenue Jean Jaures, sotto la garanzia d’anonimato. «Cerco di passare di qui il meno possibile, c’è puzza di escrementi, è disgustoso, fanno pipì dappertutto. Ci sono delle persone che gli forniscono del cibo, è naturale che si ammassino tutti qui», assicura con una smorfia Claire, 30 anni, impiegata, che ha un appartamento che dà sugli accampamenti.

Molti abitanti del quartiere hanno organizzato distribuzioni di cibo tre volte al giorno. «Siamo semplici cittadini, facciamo quel che possiamo per alleviare i dolori di queste persone. Dormire per strada è terribile, che almeno possano riscaldarsi con un pasto caldo», dice Anne. Sono molte le associazioni presenti, si incaricano di fornire cibo, cure mediche, corsi di lingua e beni di prima necessità.

Tra queste c’è Baam (Bureau d’accueil et d’accompagnement des migrants), che offre corsi di francese ai migranti di Place de Stalingrad, oltre che un supporto legale per i richiedenti asilo. Ogni sera duecento migranti si siedono sulle gradinate della piazza dove i volontari, studenti, cittadini, dispensano i corsi. «Liberté, égalité, fraternité significa questo» chiosa Manuel, studente di science politiche.