Sempre più difficile la situazione nel giovane stato del Sud Sudan, dove si vivono giorni di altissima tensione. La società civile sud-sudanese, raccoltasi sotto la sigla People’s Coalition for Civil Action (Pcca), chiede a gran voce le dimissioni del presidente Salva Kiir Mayardit, ma ogni tipo di manifestazione viene repressa con violenza. Secondo la testata francese Africa News sette persone, compreso un alto prelato, sarebbero state arrestate nei giorni scorsi, ma la polizia sud-sudanese nega di trattenere in carcere i membri della società civile.

Nel fine settimana scorso ogni tipo di collegamento internet era stato interrotto rendendo difficile l’organizzazione di ogni forma di protesta, mentre le forze di sicurezza governative continuano a pattugliare le strade della capitale Juba e molti negozi sono rimasti chiusi. La militarizzazione della capitale e delle principali città del paese è l’unica risposta che il presidente Kiir ha saputo dare, rispondendo con la forza a una società civile esausta, dopo 10 anni di guerra e instabilità.

IL PIÙ GIOVANE STATO AFRICANO non ha mai avuto effettivamente un momento di pace. Dopo ben due guerre civili per ottenere l’indipendenza dal Sudan, che si erano protratte per quasi 50 anni con alcuni anni di tregua, il Sud Sudan nel 2011 aveva ottenuto la sua autodeterminazione attraverso un referendum, dove una schiacciante maggioranza aveva deciso di separarsi da Khartoum.

Una prova di democrazia, ma che alle spalle aveva già le multinazionali occidentali pronte a sfruttare i ricchi giacimenti petroliferi in terra nubiana.
Passato l’iniziale entusiasmo e la pacifica coabitazione fra le due etnie principali dei Dinka e dei Nuer, rappresentate dal presidente Salva Kiir Mayardit e dal vice-presidente Riek Machar, la violenza aveva nuovamente sconvolto il Paese. Un conflitto feroce fra due etnie guerriere che si accusavano a vicenda di voler estromettere gli altri dal potere e poter così controllare le ingenti riserve petrolifere sud-sudanesi.

PER CINQUE ANNI il Sud Sudan è stato dilaniato da scontri feroci, intervallati da tregue brevi ed effimere. Fra sfollati interni e nei paesi confinanti le organizzazioni umanitarie hanno contato quasi due milioni di persone, nonostante la presenza dal 2011 di una missione delle Nazioni unite, l’Unmiss, forte di 15mila militari.

Nel 2017 il World Food Programme, la Fao e l’Unicef dichiararono che la popolazione di alcune province sud-sudanesi era alla fame e richiamarono l’attenzione internazionale su un conflitto a bassa intensità, ma che stava sconvolgendo il Paese. I due grandi contendenti riuscirono a raggiungere un duraturo accordo solo nel giugno del 2018, quando a Khartoum, dopo una lunga serie di colloqui, Salva Kiir e Riek Machar deposero finalmente le armi.

Questi cinque anni hanno lasciato una striscia sanguinosa di migliaia di morti e milioni di sfollati e un governo di unità nazionale molto provvisorio. Il vero governo infatti è riuscito a prendere forma soltanto nel febbraio del 2020, dopo che le due parti avevano rotto più volte, poco soddisfatte della spartizione del potere.

Questo soggetto politico raffazzonato non ha però dato una vera guida al paese, dove periodicamente sono scoppiati scontri etnici.
Nell’aprile del 2021 il vescovo di Rumbek, l’italiano Christian Carlassare, era stato vittima di un attentato, sempre a sfondo etnico, a sottolineare la profonda divisione del paese. Mentre un rapporto delle Nazioni unite avvertiva di una possibile escalation di violenza in tutto il Sud Sudan, finalmente prendeva forma il nuovo parlamento, rappresentativo degli accordi di pace firmati due anni prima.

UN NUOVO COLPO DI SCENA però sparigliava le carte nel palcoscenico sud-sudanese quando il neo vice-presidente Riek Machar a inizio agosto veniva espulso dal suo partito. Il Movimento di liberazione del popolo sudanese – In Opposizione (Splm-Io) era sempre stato la voce del popolo Nuer ed era guidato dal suo fondatore e leader Riek Machar. L’ala militare del partito ha deciso la sua rimozione accusandolo di non aver difeso gli interessi del popolo Nuer e di aver indebolito il partito firmando gli accordi di Khartoum.
Machar ha subito negato di essere stato rimosso, accusando il generale Simon Gatwech Dual di un «colpo di stato» interno all’Splm-Io. Sono immediatamente scoppiati violenti scontri all’interno delle due fazioni, che hanno provocato oltre trenta morti fra i membri della principale formazione di opposizione sud-sudanese.

RIEK MACHAR HA DICHIARATO di avere ancora il controllo del partito e che i dissidenti guidati dal generale Gatwech Dual si sarebbero rifugiati al confine con il Sudan. La testata locale Sudan Tribune riporta di un rapido movimento delle forze ancora fedeli a Riek Machar in marcia verso le province controllate dai ribelli di Dual.
Gli uomini ancora fedeli all’ormai ex leader del Splm-Io sono guidate dal generale Dak, uomo forte dei servizi segreti sud-sudanesi, che i defezionisti di Dual accusano di essere il vero artefice di questo colpo di mano militare.

IL FRONTE DEL MOVIMENTO di liberazione del popolo sudanese – In Opposizione è sempre più liquido e le ultime notizie parlano di una nuova defezione ai massimi livelli. Il generale Odwar, fedelissimo di Machar, ha cambiato fronte portandosi via i suoi uomini, molto probabilmente per paura di perdere il suo status di piccolo signore della guerra nell’ambito del piano di riunificazione di tutte le forze armate sud-sudanesi portato avanti dal presidente Salva Kiir.
Tutto questo mentre nella provincia occidentale di Equatoria non si fermano i feroci scontri tribali tra i Balanda e gli Zande con case bruciate e decine di corpi ai margini della strada. Ennesimi colpi alla già fragilissima pace che regna a Juba e che rischia una nuova balcanizzazione del martoriato Sud Sudan, con la nascita dell’ennesimo gruppo armato pronto a minare il potere centrale.