I Giochi olimpici sono una grande festa planetaria. Una ricorrenza che coinvolge miliardi di persone dove, per un mese ogni quattro anni, salta ogni distinzione di classe, etnia, genere o religione e l’intera umanità freme in trepidante attesa di sfide, tornei e duelli, pronta a abbracciarsi nel festeggiare la vittoria o a smarrirsi nella disperazione della sconfitta. Ma i Giochi olimpici sono anche dei mega eventi urbani, come fiere, expo e saloni, atti politici che rispondono alle logiche del dominio presente, prodotti dell’industria culturale che obbediscono ai modi di produzione dati e uno di quei meteoriti che ci siamo costruiti con le nostre mani per annientare la vita del pianeta.

E in questo non sono eccezione le Olimpiadi di Parigi 2024, chieste nel 2015 da François Hollande e ottenute nel 2017 da Emmanuel Macron come celebrazione della grandeur europea, e giunte a compimento in quadro politico completamente ribaltato. Se nell’antichità i Giochi olimpici erano festività religiose che ogni quattro anni interrompevano la guerra, nella modernità sono diventate celebrazioni dello spirito del tempo: dalle svastiche di Berlino 1936 ai pugni chiusi alzati al cielo di Città del Messico 1968. E oggi questo spirito è bellico, una guerra infinita contro la vita umana e contro il pianeta che la ospita.

Oggi i Giochi olimpici la guerra non la fermano più, ma la proseguono attenendosi al diritto del più forte. Se è stato giusto, dopo la precedente squalifica per il doping, negare la partecipazione alla Russia a causa della brutale invasione dell’Ucraina (con gli atleti russi presenti come neutrali, senza bandiere) è inconcepibile che sia invece stata concessa la partecipazione a Israele dopo la sanguinosa invasione della Palestina. Ma le Olimpiadi dell’era moderna non si limitano a rendere plastica la nuova ragione politica del mondo, in quanto prodotti dell’industria culturale intervengono sulle condizioni materiali dei paesi che li ospitano. Se nella loro fase iniziale erano fiere delle vanità che celebravano la fase espansiva del capitalismo industriale da una trentina di anni, almeno da Barcellona 1992, raccontano invece la fase di compressione del tardo capitalismo finanziario.

Sono mega eventi che servono a ridisegnare l’architettura sociale delle città e dei Paesi che li ospitano, favorendo la gentrificazione turistica a discapito delle classi sociali disavvantaggiate. Basti pensare alle opere di espropriazione delle case e dislocamento della popolazione avvenute per Londra 2012, dove il proletariato dell’East End dove sono sorti i siti olimpici è stato buttato a forza fuori dalla cintura cittadina, distruggendo comunità e legami faticosamente creatisi negli anni, e Rio de Janeiro 2016, dove tra corruzione e malaffare si è provveduto alla demolizione forzata di intere favelas e diversi luoghi sacri indigeni.

Mega eventi che tendono a socializzare le perdite delle casse pubbliche che li sovvenzionano, paradigmatico il caso di Atene 2004 con il paese che a causa dell’organizzazione dei Giochi è precipitato in quella recessione che lo ha poi messo in ginocchio, e tendono a privatizzare i profitti per chi li organizza: a partire dagli organizzatori del Comitato Olimpico Internazionale (Cio), che pur essendo un’organizzazione senza scopo di lucro nell’ultimo bilancio disponibile del 2022 segna 7,6 miliardi di dollari di entrate per il quadriennio concluso con Tokyo 2020; e per continuare con gli sponsor che, per imposizione del Cio sugli Stati che si candidano a ospitare i Giochi, ottengono il permesso di operare in regime fiscale di extraterritorialità.

Ma non è finita qui, questi mega eventi sono meteoriti destinate a annientare l’equilibrio climatico del pianeta, vomitando inutili colate di cemento per costruire immense cattedrali nel deserto che poi rimangono inutilizzate devastando la biosfera e deturpando il paesaggio. Il bosco di larici secolari abbattuto per Milano-Cortina 2026, oltretutto per fare posto alla nuova pista di bob, visto che quella costruita per le Olimpiadi Invernali del 1956 era ancora in piedi ma nessuno l’aveva più usata, è esemplare.

E nonostante le promesse, i Giochi della XXXIII Olimpiade che cominciano il 26 luglio a Parigi non sono certo un’eccezione. Mentre l’intero pianeta si fermerà per ammirare la velocità della giamaicana Shericka Jackson e dell’americano Noah Lyles, la resistenza della mezzofondista kenyota Faith Kipyegon e i movimenti dell’ostacolista Sydney McLaughlin-Levrone, il salto con l’asta dello svedese Mondo Duplantis, le bracciate in piscina delle australiane Emma McKeon e Ariarne Titmus, i volteggi della ginnasta Simone Biles e la forza della judoka francese Clarisse Agbegnenou, le ultime racchettate di Nole Djokovic e Rafael Nadal e la difesa delle medaglie degli italiani Gianmarco Tamberi e Marcell Jacobs, il mega evento politico economico che si nasconde sotto il nome di Olimpiadi di Parigi 2024, come una piovra distenderà i suoi tentacoli neri sulla capitale francese. Pronta a prendersi tutto. A partire da quegli sbandierati processi di rigenerazione urbana che servono solamente a traghettare le città nel postindustriale finanziario attraverso progetti legati al consumo di divertimento e di spettacolo.

Basta guardare alle demolizioni forzate dei campi rom e delle fabbriche abbandonate che ospitavano centinaia di rifugiati nel dipartimento di Seine-Saint-Denis, dove si trovano più della metà dei siti olimpici, tra cui il Villaggio, e dove si trovano più della la metà del centinaio di siti abitativi già sgomberati dalla polizia francese. Una vera e propria pulizia etnica di poveri, migranti, richiedenti asilo e senza tetto. Un atto di ferocia umana che ha provocato la messa in strada di oltre tremila persone tra cui, denunciano le associazioni umanitarie, almeno un centinaio di donne incinte. Saccheggio, lo chiamano in Francia, e Saccage si è chiamato uno dei collettivi che lotta contro questo abominio.

Perché al posto dei ripari di fortuna dei dannati della metropoli qui sorgeranno le nuove infrastrutture dell’economia immateriale e culturale del tardo capitalismo, freschi ecoquartieri che allontaneranno sempre più le comunità sociali preesistenti per sostituirle con classi sociali dotate di più alto potere di acquisto, speculazioni che di eco avranno poco e nulla, a partire proprio dalle zone verdi già abbattute nella stessa area per fare loro posto.

Se sui costi economici la falsa narrazione di Parigi 2024 come Giochi finanziariamente sostenibili è stata smascherata, con il budget iniziale di 3,2 miliardi di euro salito a 6,8 miliardi e poi deflagrato a 11,8 miliardi di spesa pubblica, la falsa narrazione delle prime Olimpiadi sostenibili dal punto di vista ambientale è destinata a sgretolarsi a breve. A partire dal milione e mezzo di tonnellate di CO2 che saranno emesse per i trasporti e l’edilizia, nonostante la maggior parte dei siti fossero già nelle disponibilità degli organizzatori.

E per finire con la decisione di spostare le gare di surf dalla Senna a Tahiti, nella Polinesia Francese, dove per fare posto alle gare sarà devastata la barriera corallina, e dove le navi e gli aerei che per trasportare atleti e personale percorreranno i 16mila km che separano la capitale della Repubblica dalla sua colonia contribuiranno non poco all’innalzamento della temperatura globale. E così, mentre per un mese tutti noi resteremo in trepidante attesa delle gare, pronti a scoppiare di gioia in caso di vittoria o annegare nella disperazione della sconfitta, la macchina dell’industria culturale dello sport si sarà già messa in moto. Prossima tappa i Giochi invernali Milano-Cortina 2026, ennesimo simulacro creato per poter continuare a credere che tutto cambierà, mentre intorno nulla sta cambiando.