Ghiacciai e barriera corallina, sono gli ecosistemi fra i più cruciali per il mantenimento degli equilibri del pianeta: indispensabili riserve di acqua dolce gli uni, tesorieri di biodiversità gli altri. Entrambi, per quanto così diversi, condividono come principale minaccia i cambiamenti climatici. A ricordarcelo sono studi pubblicati di recente agli antipodi del pianeta.

Dalle nostre parti, sulle alpi, il 2022 risulta essere stato l’anno peggiore mai osservato per i ghiacciai alpini.

Dal lato Italiano ce lo dimostrano i dati del bilancio di massa per l’anno 2022 rilevati da Arpa Valle d’Aosta. Infatti, le condizioni meteo-climatiche eccezionali dell’anno, caratterizzato da un inverno particolarmente avaro di precipitazioni e da una periodo di ablazione (lo scioglimento in superficie di ghiaccio e neve) estremamente prolungato e intenso, hanno avuto un impatto rilevante sulle condizioni dei ghiacciai che, in coerenza con quanto osservato sugli altri apparati monitorati sulla catena alpina, si sono presentati a fine estate in uno stato di grande sofferenza: riduzione della massa glaciale e arretramento delle fronti, proseguimento della frammentazione degli apparati e l’emersione di isole rocciose più o meno ampie che aggraveranno ulteriormente le dinamiche di fusione future.

Le attività di monitoraggio sono state condotte sui ghiacciai Valdostani di Timorion (Valsavarenche) e Rutor (La Thuile). Per entrambi la stima dell’ablazione ha rivelato la situazione più gravosa registrata in tutta la serie storica di misura.

Anche dal lato svizzero la situazione è risultata da record.

Secondo i dati pubblicati dal Servizio Glaciologico i ghiacciai elvetici, che rappresentano la metà di tutti i ghiacciai alpini, hanno registrato il loro peggior tasso di scioglimento da quando sono iniziate le registrazioni più di un secolo fa, perdendo il 6% del loro volume rimanente quest’anno o quasi il doppio del record precedente del 2003.

Lo scioglimento nel 2022 è stato così estremo che la nuda roccia che era rimasta sepolta per millenni è riemersa in un sito mentre i corpi e persino un aereo perso altrove nelle Alpi decenni fa sono stati recuperati; altri piccoli ghiacciai sono quasi scomparsi. I ricercatori del Servizio Glaciologico consideravano questi risultati prevedibili per il futuro, ma è stato scioccante l’anticipo con cui tale scenario si è presentato.

C’è da sperare che non si verifichino anzitempo le previsioni che dall’altra parte del pianeta, nel mezzo dell’oceano Pacifico, sono state fatte per le condizioni della barriera corallina.

Uno studio pubblicato dall’Università delle Hawaii ha confrontato gli scenari prodotti da cinque fattori di stress ambientali: temperatura della superficie del mare, acidificazione degli oceani, tempeste tropicali, uso del suolo e popolazione umana.

La conclusione a cui giunge lo studio è che, nel peggiore dei casi, se il cambiamento climatico continua a questi ritmi, il 50% degli ecosistemi delle barriere coralline in tutto il mondo si troverà nel giro di una dozzina di anni, permanentemente in condizioni inadatte, dove per “inadatte” si intendono condizioni che porteranno con ogni probabilità alla morte dei coralli e alla conseguente difficoltosa sopravvivenza della consistente e variegata catena alimentare che dalla barriera corallina dipende.

Anche in questo caso i risultati hanno impressionato i ricercatori: gli impatti negativi del cambiamento climatico sulle barriere coralline erano già noti, ma lo studio ha mostrato che in realtà sono peggiori del previsto a causa di un’ampia combinazione di fattori di stress indotti dal cambiamento climatico.