Gruppi di cittadini israeliani si sono riuniti ieri all’ingresso della stazione ferroviaria di HaShalom, a Tel Aviv, e hanno cominciato a scandire i nomi di Hadar Goldin e Oron Shaul, invocando la restituzione dei loro corpi dal 2014 nella Striscia di Gaza. Goldin e Shaul sono due militari israeliani caduti in combattimento. Il rientro dei loro resti, assieme alla liberazione di due cittadini israeliani, un etiope e un arabo – Avira Menghistu e Hisham El Sayed -, entrati per errore a Gaza qualche anno fa e detenuti dal movimento islamista Hamas, sono diventati in queste ultime settimane la condizione alla quale Israele lega in modo categorico l’avvio della ricostruzione della Striscia uscita devastata dall’offensiva aerea «Guardiani delle mura». Una condizione alla quale la leadership di Hamas non ha intenzione di piegarsi poiché vede nella liberazione di Menghistu ed El Sayed e la restituzione dei corpi dei soldati, la strada per ottenere la scarcerazione di centinaia di prigionieri politici palestinesi in carcere in Israele. Un muro contro muro che, avvertono fonti vicine ai mediatori egiziani, potrebbe presto sfociare in una ripresa dell’escalation militare tra Hamas e lo Stato ebraico interrotta il 21 maggio dal cessate il fuoco dopo 11 giorni di raid aerei israeliani e di lanci di razzi da parte del movimento islamico.

Centinaia di migliaia di civili di Gaza, nel frattempo, fanno i conti con le conseguenze dei pesanti bombardamenti israeliani. La ricostruzione in effetti è già partita con le magre risorse dell’autorità amministrative locali che non permettono di andare oltre la riparazione di qualche strada e di parte della rete idrica ed elettrica. Il bisogno più rilevante è l’avvio immediato di progetti di edilizia abitativa per dare un tetto a 4mila famiglie che hanno visto ridotte in macerie le proprie case colpite da missili e bombe. Servono nei prossimi due anni 485 milioni di dollari, secondo calcoli fatti dalla Banca mondiale, dalle Nazioni Unite e dell’Unione europea. Trecento milioni per riparare i danni materiali e altri 185 per risarcire le perdite economiche. I fondi in parte dovranno andare all’assistenza di 45mila abitanti di Gaza totalmente dipendenti dagli aiuti umanitari per il cibo e altri bisogni primari e alla creazione di 20mila posti di lavoro il prossimo anno. Il Pil della Striscia, peraltro, quest’anno potrebbe ridursi di un altro 0,3%, secondo le previsioni della Banca mondiale. E non c’è la fila di donatori per Gaza mentre Hamas insiste per partecipare alla gestione della ricostruzione che gli organismi internazionali, su pressione di Stati uniti, Israele e del presidente palestinese Abu Mazen, invece intendono affidare esclusivamente all’Onu e al governo dell’Anp a Ramallah.

Hamas non deve più ricevere valigie piene di contanti, ha intimato domenica scorsa il primo ministro israeliano Naftali Bennett riferendosi ai trenta milioni di dollari che mensilmente il Qatar trasferisce a Gaza e usati in gran parte per versare 100 dollari a migliaia di famiglie bisognose. «Le cose sono cambiate» ha avvertito Bennett «siamo interessati alla calma e non abbiamo interesse a danneggiare i residenti di Gaza ma la violenza sarà accolta con una forte risposta. Palloncini incendiari (lanciati da Gaza) e cose simili riceveranno sempre una risposta dura da parte di Israele».

Da parte sua il capo di Hamas a Gaza, Yahye Sinwar, ha chiesto la ripresa immediata dei versamenti del Qatar altrimenti, ha lasciato intendere, Hamas non avrà altra scelta se non quella di tornare ai lanci di razzi verso Israele. La scorsa settimana il coordinatore speciale delle Nazioni Unite in Medio Oriente, Tor Wennesland, ha incontrato il vice primo ministro e ministro degli affari esteri del Qatar, Mohammed bin Abdulrahman Al-Thani, al quale ha dato la disponibilità dell’Onu a supervisionare la distribuzione dei fondi di Doha alla popolazione di Gaza, aggirando totalmente Hamas. I milioni di dollari, ha spiegato, verranno erogati dall’Autorità monetaria a Ramallah (quindi dall’Anp) e non attraverso banche o uffici postali di Gaza. Hamas ha reagito ribadendo che il tentativo di escluderlo da tutto porterà solo a un’altra guerra.