Ravenna salva. Non deve essere stato facile accettare l’idea di allagare i propri campi col rischio di renderli improduttivi per diversi anni. Ma le Cooperative agricole braccianti non si sono tirate indietro di fronte alla necessità di fermare con un un’inondazione controllata l’avanzare dell’alluvione verso il cuore dell’antica capitale bizantina. C’è anche questa volontà collettiva dietro alla normalità con cui si presenta la 34ma edizione del Ravenna Festival. E però non lascia indifferenti la coincidenza che a inaugurare il festival sia lo spettacolo militante di ErosAntEros dedicato alla crisi climatica.

SI INTITOLA Gaia, la nuova creazione di Davide Sacco e Agata Tomsic. Nel greco omerico il nome della dea primordiale che sta all’origine della vita sulla terra. Ma anche, e lo ricordano i due artefici, quella a cui lo scienziato inglese James Lovelock, più di quarant’anni fa, intitolò la sua «ipotesi» secondo cui la terra costituisce un organismo in grado di autoregolarsi, in modo da preservare le condizioni per la vita nel pianeta. In una progressione dal lontano passato del mito a presente e futuro, si comincia sulle tracce di Esiodo, da una cosmogonia di tuoni e lampi nel buio e fasci di luce che si divaricano da un punto che sta in fondo al vasto palcoscenico del Teatro Alighieri.Lo spettacolo il lamento barocco, aggiornato al nostro tempo, con tecniche di teatro agit-prop che certo i due giovani artefici non hanno conosciuto.

NON E’ PROPRIO l’universo in espansione immaginato dalla fisica contemporanea ma come metafora non ci va lontano. La platea è coperta da teli neri, gli spettatori sono raccolti nei palchi, a loro volta inglobati in una scenografia visiva di geroglifici animali e parole d’ordine che richiamano il disastro climatico. I dinosauri scomparsi 250 milioni di anni fa sono già il nostro presente o forse il futuro anteriore dell’estinzione di massa che attende l’umanità.

«GAIA» CONIUGA il lamento barocco, aggiornato al nostro tempo, con tecniche di teatro agit-prop che certo i due giovani artefici non hanno conosciuto. Il lento rischiararsi della scena rivela un corpo dalla pesante nudità che avanza con fatica per poi dare alla luce un manto azzurro e questo diventa la lunga gonna aperta a formare un largo cerchio sul palco. Da cui la protagonista si leva immobile come una sirena che sorge dal mare o un obelisco puntato contro il cielo, inizio e fine in una sola immagine. Nei corridoi della platea dilaga un gruppo di attivisti climatici. Si impossessano dei microfoni per lanciare i loro slogan. Il problema non è il clima, il problema è il profitto il capitalismo l’avidità la corruzione la Cina, per qualcuno anche l’apericena.
Il futuro è un canto apocalittico che chiede ai governi di intervenire in fretta. Così Kierkegaard immaginava una derisoria fine del mondo: in teatro scoppiò un incendio ma quando il clown uscì in palcoscenico ad avvisare il pubblico tutti pensarono che fosse uno scherzo e continuarono ad applaudire. O forse il futuro sono i due bambini che hanno continuato a fare il loro girotondo. Poi tutti giù per terra.