Da anni nel Mediterraneo si combatte una guerra che poche volte è stata sotto i riflettori ma che nel tempo ha fatto morti e feriti e che avvelena gli animi di alcuni Paesi che si affacciano sul nostro mare, nello specifico italiani, egiziani, libici e tunisini. Parliamo della «guerra del pesce», che ha visto negli anni contrapporsi l’Italia e alcuni paesi del Nord Africa e che ha provocato sequestri di pescherecci e di equipaggi, morti e feriti.

IL TERRENO DI SCONTRO è il cosiddetto Mammellone, un’area che copre poco più di 7.000 km2 , collocata al centro del Canale di Sicilia, a una manciata di miglia nautiche dalle coste di Lampedusa e dalle isole tunisine di Kerkennah. L’oggetto del contendere sono le preziose risorse ittiche dell’area caratterizzata da una straordinaria biodiversità marina, fondali molto bassi, che raggiungono una batimetria massima di 50 metri dove si concentrano specie commerciali come gamberi, triglie e naselli, specie sensibili e habitat ittici fondamentali per numerose specie di pesci pelagici, demersali, cetacei e tartarughe marine comuni (Caretta caretta).

A QUESTO SI DEVE AGGIUNGERE che il Canale di Sicilia è già stato classificato come Area marina ecologicamente o biologicamente significativa (Ecologically or Biologically Significant Marine Area; EBSA) dalla Convenzione sulla Diversità Biologica (CBD), e rappresenta una zona prioritaria per la conservazione di elasmobranchi tra cui ben 32 specie di squali, diversi dei quali a rischio estinzione.

UN TRATTO DI MARE, QUELLO del Mammellone, da anni sotto attacco e che sta esaurendo velocemente la sua antica abbondanza di risorse. Basti pensare che, secondo dati Fao del 2023, nel Mediterraneo centrale, tre paesi sono responsabili del 94,6% di tutti gli sbarchi in peso: la Tunisia come principale contribuente (64,7%), seguita da Libia (15,6%) e Italia (11,6%).

PERALTRO, SECONDO ALCUNI RICERCATORI, una delle maggiori preoccupazioni riguardo ai dati usati in molti recenti lavori che studiano lo sforzo di pesca nel Mediterraneo centrale è la mancanza di sforzo osservato nelle parti africane del bacino.

PER LA BIOLOGA MARINA AZZURRA BASTARI, «nel caso del Mediterraneo centrale, le principali lacune ben note nei dati sono dovute al numero limitato di navi dell’Africa settentrionale dotate di AIS e questo mette in ombra tutte le altre questioni tecniche legate alla copertura del segnale e allo sfruttamento delle zone di pesca».

PER TUTTI QUESTI MOTIVI, NELLA GIORNATA internazionale del Mediterraneo che si è celebrata lo scorso 8 luglio, la fondazione MedReAct ha lanciato un appello al Ministro Tajani per promuovere la tutela internazionale del Mammellone e interrompere l’ormai annosa guerra del pesce.

QUESTA EBBE INIZIO NEL 1951 quando il paese arabo, in modo unilaterale, vietò la pesca agli italiani. Un atto che fu considerato una vera e propria dichiarazione di guerra, appunto. La tensione andò avanti fino al 1979 quando fu istituita bilateralmente dai due paesi un’area protetta chiusa alla pesca. In un’accesa seduta parlamentare, convocata il 26 settembre del 1979 per esaminare i problemi della pesca nel Canale di Sicilia, l’allora governo italiano annunciò la chiusura alla pesca italiana del Mammellone per riservare l’area al ripopolamento, richiedendo da parte degli operatori «il più assoluto rispetto dei limiti territoriali e delle zone di pesca» e ritenendo «ingiustificabile che alcuni pescherecci continuino, come constatato dalle unità della nostra marina militare in vigilanza nella zona, a pescare in zone vietate». Ma i pescatori mazaresi hanno continuato a lavorare ai bordi dell’area, con possibilità anche di sconfinamento, comportamenti che riaccesero gli animi, in realtà mai sopiti, e portarono a nuovi sequestri di pescherecci e di equipaggi.

PER CONTRIBUIRE A RISOLVERE l’intricata questione nel 2017 la Regione Sicilia invocò l’istituzione di una Fisheries Restricted Area, con misure di tutela condivise da tutti i paesi dell’area. L’anno successivo si svolsero incontri bilaterali con la partecipazione di Antonio Tajani in qualità di presidente del Parlamento Europeo, di Paolo Gentiloni come presidente del Consiglio, di rappresentanti del ministero degli Esteri italiano e del governo tunisino. Da tutti è stata invocata una cooperazione tra i paesi coinvolti e la necessità di elaborare piani di gestione e progetti condivisi.

PURTROPPO PERO’, AL NETTO degli annunci e delle dichiarazioni di intenti, ben poco è stato fatto e l’area del Mammellone continua a soffrire per le incursioni di flotte che ne depredano le risorse. Sebbene rimanga formalmente protetta dalla Tunisia con un divieto di strascico che prevede solo due brevi deroghe nel corso dell’anno, il saccheggio dell’area del Mammellone continua.

UN RECENTE STUDIO PUBBLICATO su Nature nel 2024 ha mostrato come nel Canale di Sicilia, zona battuta da circa 9000 pescherecci di cui circa 3000 di pesca industriale, il 63% delle flotte operino spesso al «buio», ovvero senza quel sistema di tracciamento satellitare pubblicamente accessibile (sistema AIS), rendendo le attività di pesca poco transparenti. «L’importanza ecologica del Mammellone unita al mancato rispetto del divieto di pesca rende necessario applicare con più fermezza le misure introdotte dalla Tunisia a tutte le flotte che operano nel Canale di Sicilia» ha dichiarato Domitilla Senni di MedReAct.

«PER QUESTO ABBIAMO PROPOSTO di considerare il Mammellone tra le zone da tutelare nel Canale di Sicilia attraverso la Commissione generale della Pesca nel Mediterraneo. Chiediamo al Ministro Tajani di farsi promotore di questa proposta presso le autorità tunisine al fine di definire regole comuni per il recupero delle risorse ittiche e della biodiversità marina, a beneficio del mare e del futuro della pesca».

LA PROPOSTA DI MEDREACT si inserisce nel countdown lanciato dall’organizzazione verso la Conferenza mondiale degli oceani, che si svolgerà a Nizza nel giugno 2025. Una campagna con la quale l’associazione chiede ai governi mediterranei l’istituzione di una rete di riserve marine nelle quali venga vietata la pesca più distruttiva.