Anche qui a Lisbona i tavolini all’aperto invadono ogni spazio. Si tocca ovunque la voglia di stare fuori, di incontrarsi, di parlare. E il cielo e l’aria dell’oceano, i riflessi del Tago, la luce nitida, rendono vasto il respiro, anche quello degli occhi. E così tornano ad affollarsi, dopo due anni più difficili, anche le giornate e le serate di «Lisboa na rua», in strada. Musica, danza, poesia, cinema. A fine settembre si svolgono i «Passeios sonoros», passeggiate guidate da personalità della cultura, fra storia cittadina e stratificazioni culturali.

La Fondazione Saramago celebra il centenario dello scrittore con letture, nuove edizioni, mostre e film, spettacoli teatrali. E poi il video: già in luglio e agosto, fra Lisbona e Madrid, si era svolto il VEM, «Videoarte en movimento», festival itinerante di opere di videoartisti portoghesi accompagnate da un programma internazionale, con tappe anche a Elvas in Portogallo e al museo Vostell a Malpartida de Caceres in Spagna. E proprio in questi mesi il MAAT, il grande museo di arte contemporanea sulle rive del Tago, ha ospitato una monumentale installazione video di Vhils (pseudonimo di Alexandre Farko), trentenne artista di Lisbona che nella spettacolare e labirintica Prisma presenta immagini di città del mondo su schermi enormi e di vari formati, in una enigmatica quotidianità di panorami e di vite diverse, ritratte in transiti distratti e rallentati, fra omologazione e straniamento.

E poi, come ogni anno, a fine agosto, FUSO, il festival annuale di videoarte, con la sua peculiare impostazione: ogni sera in uno spazio diverso, sempre all’aperto, con sdraio, copertine per il fresco del vicino oceano, vino e pasteis de nata, i dolcetti tipici. Ogni sera un programma tematico, presentato da un curatore o una curatrice. Titolo di questa edizione: «Resiliencia. Esperança. Comunidade». Titolo che si confronta con le fatiche e i disastri di questo tempo, cercando anche nelle creazioni video risposte, visioni che possano aiutare nella decifrazione di scenari distopici e di percorsi di resistenza. Quest’anno il Festival è stato ancora più affollato, in sintonia con un generale desiderio di tornare a condividere in presenza e senza le restrizioni che ancora segnavano l’edizione 2021 (la 2020 si era svolta online).

Così, in luoghi incantati (il chiostro del Museo della marionetta, le architetture industriali della vecchia centrale elettrica sul Tago, ora sede di parte del Maat, il giardino del Palacio Sinel de Cordes, lo spazio del museo nazionale di arte contemporanea con le sue affascinanti statue, le fortificazioni del Castello, alto sulla città) si sono succeduti video recenti che hanno toccato vari temi: l’utopia della pace, la relazione con l’altro, la dimensione del magico (inteso come riscatto del sogno, dell’immaginazione e della speranza).

I temi variano di anno in anno, seguendo le tracce di un’attualità o di un’emergenza, ma è fisso l’appuntamento con la serata sulla storia e i pionieri della videoarte e del cinema sperimentale, curata da Lori Zippay, pioniera USA della diffusione video, con Electronic Arts Intermix di New York.

Quest’anno la serata è stata incentrata sulla mitica Joan Jonas, dai film alle installazioni ai video alle performance, con due film del 1968 e del 1973 restaurati, la registrazione di Organic Honey’s Vertical Roll (1973) alla Leo Castelli Gallery, fino a Waltz del 2003. Ed è fissa anche la serata di Ar.Co, Centro de Arte e Comunicaçao, con i lavori degli allievi di cinema e immagine in movimento. I musei non sono solo coinvolti per lo spazio: i direttori e le direttrici partecipano alle serate, sono partner per il premio (è il caso del Maatuso), rendono disponibili le proprie raccolte (come quest’anno per la serata «A utopia da paz», con i film della collezione della Fondazione Gulbenkian).

Ma i direttori di Fuso (Antonio Camara Manuel e Jean-François Chougnet, affiancati per il coordinamento da Rachel Korman) sono molto attenti anche alla produzione nazionale: o meglio, al concorso riservato ad artisti portoghesi, anche quelli che lavorano in altri paesi; e ad artisti stranieri che lavorano invece in Portogallo. È l’unico concorso di videoarte del paese ad assegnare premi (acquisizione e incentivi), e la serata che presenta questa selezione è solitamente la più vivace e affollata.

Quest’anno sono arrivati 193 video fra cui sono state scelte tredici opere, quasi tutte su un registro di impegno, che è del resto una delle cifre di Fuso. Memoria della colonizzazione, confinamento, problemi sociali, questioni di genere; ma anche un gusto della sperimentazione di forme, fino all’astrazione.

La serata vede anche i voti degli spettatori, e quest’anno per la prima volta la giuria del pubblico e quella di Fuso (tutta al femminile) si sono trovate in sintonia, con doppio premio a Os Antilopes, dell’artista francese – residente a Lisbona – Maxime Martinot. Il video (2020, 8’20”) si ispira a una frase di Marguerite Duras: «Un giorno, sulle coste del Marocco, centocinquanta anni fa, migliaia di antilopi si sono gettate insieme in mare». Enigmatico e suggestivo come il testo di Duras, il video inanella, in un ritmo che affascina e inquieta, immagini di droni in volo su distese deserte, a caccia di antilopi; realizzato a Parigi durante il confinamento, echeggia immagini analoghe, col paesaggio urbano vuoto e monitorato dall’alto. Persone e animali come braccati.

Sorveglianza e minaccia, pixelizzazione dell’immagine e del mondo, libertà e costrizione. Ordine e fuga. La giuria ha riconosciuto nel video «un gesto di resilienza e speranza, nella sua analogia sconcertante e di sfida». Fuso e Lisbona, col video, non si fermano qui: da qualche anno, su impulso dell’artista Irit Batsry (collaboratrice stretta di Fuso e sua giurata) è attivo il network internazionale Loops.Expanded, selezione di opere ispirate all’idea del «loop», della ripetizione.

La call per il 2022-23 è appena uscita e scade il 16 ottobre: si trova a loops-expanded.com