Servirà un decennio in più per avviare Iter, il reattore in cui sperimentare la produzione di energia sfruttando lo stesso principio che accende il Sole e le altre stelle.

L’annuncio ufficiale è arrivato mercoledì da Cadarache (Francia) dove scienziati e ingegneri di 35 nazioni stanno faticosamente realizzando il reattore. Concepito negli anni ’80 e partito nel 2006, oggi Iter è finanziato da Europa, Usa, Cina, India, Corea del Sud e Russia, ancora membro del progetto nonostante l’invasione dell’Ucraina in quanto alcuni componenti cruciali del reattore arriveranno da Mosca. Iter dovrebbe realizzare il sogno di creare energia da reazioni pulite in cui gli atomi, invece di scindersi come nelle centrali tradizionali, si uniscono. Eppure, come ha scritto recentemente il fisico Paul Sutter, «sono cinquant’anni che mancano solo vent’anni all’avvento della fusione nucleare».

Fino a ieri la tabella di marcia del progetto – già in ritardo – prevedeva l’accensione del reattore nel 2025, cioè sette anni dopo l’obiettivo iniziale fissato al 2018. L’aggiornamento rinvia ufficialmente questo traguardo al 2034 e al 2039 per le prime reazioni, che però dovranno solo mettere alla prova le condizioni di sicurezza. La produzione continuativa di energia per almeno 400 secondi – l’obiettivo scientifico-tecnologico di Iter – non arriverà prima degli anni ‘40 del secolo, e forse più in là.

Le cause del rinvio sono molteplici, ha detto mercoledì il direttore generale di Iter, l’italiano Pietro Barabaschi, che ha citato il Covid-19 e gli errori di fabbricazione di alcuni componenti. Hanno pesato anche le difficili relazioni con l’Agenzia per la sicurezza nucleare francese, che più volte ha intralciato il progetto con i dubbi sulla sicurezza per gli operatori. Benché non produca scorie pericolose per migliaia di anni, anche la fusione comporta livelli di radioattività e emissioni di particelle potenzialmente pericolose da sorvegliare attentamente.

Il nuovo piano di lavoro, che alza il preventivo di spesa da 20 a 25 miliardi di euro, sarà esaminato dai governi degli Stati membri di Iter. Molti di loro nel frattempo stanno prendendo in considerazione altri progetti imprenditoriali ritenuti più promettenti, tanto che Iter rischia di rivelarsi obsoleto ancor prima di esordire. Una cinquantina di aziende private nel mondo hanno raccolto investimenti per oltre sei miliardi di dollari per realizzare la fusione. Oltre a colossi come Google e Amazon, tra i finanziatori compaiono diversi governi: attraverso l’Eni, quello italiano punta sulla start-up Commonwealth Fusion System, che promette di vendere energia da fusione entro gli anni’30.

Al momento, tuttavia, nessun reattore prenotato dalle borse è entrato in funzione e per ora si parla soprattutto di promesse. È concreto il rischio che intorno all’energia pulita sia nata una bolla speculativa destinata a scoppiare alla maniera delle «dot-com» di inizio secolo. Ne approfitteranno i finanzieri più svegli e l’industria dei combustibili fossili. Se infatti si affermerà l’idea che la soluzione alla crisi energetica sia dietro l’angolo, i costosi vincoli al consumo degli idrocarburi appariranno inutili, almeno per qualche anno.

In questa partita svolgerà un ruolo decisivo anche l’informazione scientifica. Qualcuno ricorderà i trionfali titoli a tutta pagina degli ultimi anni per ogni nuovo progresso nel campo della fusione.
Le difficoltà in cui si dibatte il progetto Iter dovrebbero invece riportare tutti coi piedi per terra. Anche i giornalisti che, inconsapevolmente o meno, hanno amplificato le notizie a tutto vantaggio di qualche «lupo» di Wall Street.