Una giovane donna nella notte lascia un bimbo davanti alla porta di una chiesa, la piccola insegna che indica «baby box» – una scatola dei bambini versione attualizzata della Ruota degli esposti – ci dice che si tratta di un centro di accoglienza per neonati che le mamme non possono tenere con sé, e dove hanno la possibilità di lasciarli senza dare spiegazioni. Due altre donne osservano la scena nascoste in automobile, un ragazzo prende il piccolino e un altro uomo lo porta via. Siamo a Busan, nei primi minuti del suo nuovo film Hirokazu Kore-eda presenta già tutti i personaggi sui quali si fonda la narrazione di Broker – arrivato in competizione nel finale di Festival mentre si è già aperta la frenetica «corsa» per indovinare chi vincerà la Palma. Primo film realizzato all’estero, in Corea del sud, Broker si presenta come una nuova variazione intorno alle relazioni umane, e in particolare quelle famigliari che caratterizzano la poetica del regista giapponese Palma d’oro nel 2018 per Un’affare di famiglia, tra legami che nascono inattesi e che mutano il destino delle cose aprendo inattese piste esistenziali.

LA DOMANDA è ancora una volta cosa significa «famiglia», se si tratta di biologia o di complicità, di unioni che crescono nelle affinità emozionali o che sono imposte dalle convenzioni? E questo vale nella maternità, nella paternità, le «figure» della nostra vita collettiva che i personaggi mettono in discussione nel loro on the road di fuga e di azione «fuorilegge» attraverso il Paese.
Scopriamo pian piano che la giovane mamma ha lasciato il figlio per salvarlo da una vita disgraziata come la sua, che i due «trafficano» in commercio di bambini nel senso che sottraggono i neonati abbandonati per venderli alle coppie che non possono averne – a fronte di una legge sull’adozione molto restrittiva. Il più giovane dei due è a sua volta orfano e cresciuto in orfanotrofio con un enorme rancore verso la madre che l’ha lasciato lì, ma anche la ragazza si intuisce non ha avuto un’infanzia lieta, finita tra le mani di una «maman» – che accoglie ragazzine sole per prostituirle. E delle due donne che li pedinano, e che sono poliziotte una, la responsabile è particolarmente dura e inflessibile; avrà anche lei un segreto doloroso?

Il punto di partenza di questa sua nuova esplorazione è stavolta il motivo dell’abbandono comune a ognuno dei protagonisti,

SILENZIOSO e quasi inconsapevole il neonato – che la prima coppia contattata non vuole perché non ha quasi le sopracciglia – diviene quasi un centro di attrazione che unisce queste persone fino a renderle a loro modo una famiglia fatta di complicità ma anche di possibili tradimenti, in cui il regista afferma la sua visione di una comunità affettiva che si sottrae ai legami di sangue per inventarsi invece liberamente nei reciproci desideri, e che permette a ciascuno di avere una felicità. Il punto di partenza di questa sua nuova esplorazione è stavolta il motivo dell’abbandono comune a ognuno dei protagonisti, rispetto però ai precedenti film qui sembra non controllare il sentimentalismo un po’ invadente di una scrittura che spiega fin troppo, sottraendo al cinema e al suo racconto qualche imprevisto.