Continua il viaggio sulla Rer B, la rete express regionale parigina, seconda dopo la Rer A per importanza di utenti giornalieri (quasi un milione), che dall’aeroporto di Roissy-Charles-De-Gaulle arriva a sud della capitale nel dipartimento degli Hauts-de-Seine, il più ricco di Francia, dopo aver attraversato la banlieue nord, la Seine-Saint-Denis (tra i più poveri dipartimenti del paese), passando per il centro di Parigi.

 

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Dopo le prime fermate nella banlieue nord (Aulnay-spus-bois, Aubervilliers-La Courneuve) e la Gare du Nord a Parigi, luoghi emblematici per la difficile relazione tra giovani e polizia, per il problema della casa e per l’accoglienza dei rifugiati, le fermate di oggi rimandano ad altre questioni centrali presenti nel dibattito della campagna elettorale: Saint-Michel-Notre-Dame, colpita da un attentato il 25 luglio ’95, che ha fatto 87 morti e da allora la questione della presenza di terroristi nella società non ha più abbandonato il dibattito pubblico, scosso dagli attentati di Charlie-Hebdo e del Bataclan nel 2015; Luxembourg, l’eccellenza scolastica, con la presenza di grandi licei e università, dove si concentra l’ossessione francese per la scuola e il percorso dell’élite; Cité universitarie, gli studenti del mondo, uno sguardo dei giovani sulla politica.

Saint-Michel-Notre-Dame, gli attentati degli anni ‘90

Il 25 luglio del ’95 un attentato perpetrato dal Gia algerino causa la morte di 87 persone nella stazione di Saint-Michel-Notre-Dame. Due fermate più in là, a Port-Royal, il 3 dicembre ’96, ci sono 4 morti in un altro attacco. La Francia aveva già conosciuto altri attentati, nell’82 (il più grave al ristorante Goldenberg in rue de Rosiers, mai rivendicato, 6 morti), poi a Orly nell’83 (8 morti, rivendicato dall’Esercito di liberazione armeno) e in rue de Rennes, 13 morti nell’86, prima di Charlie Hebdo nel gennaio 2015 e del massacro del Bataclan il 13 novembre dello stesso anno, 129 morti e 350 feriti. Per gli attentati del passato, i responsabili venivano in genere da fuori. Nel 2015, molti attentatori erano cittadini francesi. La Francia si interroga sulla radicalizzazione dei giovani.

 

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Il Centre national de la recherche scientifique (Cnrs) ha realizzato una prima inchiesta su «i liceali e la radicalità». È una ricerca sulle mentalità, non sul passaggio all’atto, per misurare «il grado di adesione alla radicalità» spiega la sociologa Anne Muxel. L’indagine è stata effettuata su 7mila giovani, in 21 licei dal nord al sud del paese, tutti in zone popolari, dove sono sovra-rappresentati i giovani di origini immigrate e i musulmani (41% figli di operai, 38% di origine immigrata). «Sul piano della tolleranza alla devianza e alla violenza esistono scarti significati» rispetto a un gruppo-campione (rappresentativo della popolazione francese). C’è un’adesione all’idea «assolutista» della religione («c’è una sola vera religione», «la religione ha ragione contro la scienza»). «L’assolutismo religioso il più sovente contribuisce a giustificare la violenza religiosa», è la conclusione dei sociologi Anne Muxel e Olivier Galland, «ma è soprattutto la combinazione di due orientamenti – assolutismo e tolleranza alla violenza-devianza – che accresce la probabilità di giustificare la violenza religiosa». Gli allievi che presentano queste due caratteristiche sono 4 volte più numerosi del gruppo-campione nel dichiarare che può essere accettabile «combattere con le armi per la propria religione» (ma restano comunque una grande minoranza tra i giovani di religione musulmana, anche se la percentuale sale dall’11% al 44%, sul 4% di giovani, di tutte le credenze, che hanno una visione assolutista della religione). «In campo sociologico sono in discussione tre grandi teorie» sulle ragioni della radicalità, spiega Galland: «la dinamica ’salafista’, di cui parla Gilles Kepel», poi c’è «un’interpretazione in termini di frustrazione e vittimizzazione» (si riferisce a coloro che si sentono vittime di discriminazione sociale), posizione difesa in particolare da Farhad Khosrokhavar. Infine, c’è una spiegazione che insiste sulla «dimensione identitaria e psicologica», sul «malessere identitario», teoria privilegiata dal politologo Olivier Roy o dallo psicanalista Fehti Benslama. La ricerca del Cnrs mette in evidenza come i «fattori religiosi si coniughino con questioni identitarie, intrecciate con sentimenti di vittimizzazione e discriminazione», che possono costituire il terreno esplosivo che alimenta il passaggio all’atto dei terroristi.

Luxembourg, l’eccellenza scolastica

La Rer B passa nella zona lussuosa del Jardin du Luxembourg, tra il V e il VI arrondissement. Qui c’è il «triangolo delle Bermude» dei licei più quotati (Henri IV, Louis Le Grand, per la preparazione ai concorsi Saint-Louis), e altri comunque privilegiati (Lavoisier, Fénelon, Montaigne). C’è la Sorbonne, l’UPMC (Pierre et Marie Curie, facoltà scientifica in alto nelle classifiche mondiali), la Paris Sciences et Lettres, nata dall’unione di più di una ventina di strutture di insegnamento e ricerca, che comprende l’École normale supérieure della rue d’Ulm, con i suoi grandi nomi della ricerca, 13 premi Nobel, 10 medaglie Fields, 24 medaglie d’oro del Cnrs. E la grande école di studi politici Sciences-Po non è molto lontana. Tutto il percorso dell’eccellenza a portata di mano a cominciare da chi risiede nella zona, dove il metro quadro supera i 10mila euro, per asilo-elementari-medie e anche per i licei (dove però c’è già una selezione, Parigi è divisa in quattro distretti scolastici). È il sistema della carte scolaire tanto contestata, che non riesce a diffondere la mixité.

I rapporti Pisa lo confermano, pubblicazione dopo pubblicazione: la scuola francese è tra le più inegualitarie d’Europa, il gap tra le scuole d’élite e quelle popolari, le Zep (zone di educazione prioritaria, concentrate nei quartieri popolari e nelle banlieues), non fa che aumentare, anche se ci sono dei buoni licei fuori dal Triangolo delle Bermude. Ogni anno, in Francia 75mila ragazzi lasciano la scuola alla fine dell’obbligo senza aver ottenuto nessun diploma.

 

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Parigi, per l’economista Thomas Piketty, il livello di segregazione scolastica ha raggiunto «livelli insopportabili». Ci sono medie dove solo l’1% degli allievi appartiene a classi sfavorite, altre dove salgono al 60% (per parlare solo della scuola pubblica). «Il fallimento scolastico si vede già dall’asilo» afferma decisa una maestra del V arrondissement. Le famiglie della classe medio-alta adottano ogni tipo di strategia per far accedere i figli alle migliori scuole, si va dalla scelta di materie specifiche (per esempio il russo prima lingua per essere presi al collège – le medie – di Henri IV, sperando poi di essere in migliore posizione per il liceo) fino all’affitto di una buca delle lettere per avere un falso indirizzo nel quartiere.

Ogni primavera, inizia la nevrosi di Affelnet e Apb, i due programmi che affidano agli algoritmi la destinazione degli allievi, dopo le medie (per il liceo) e dopo il Bac, ossia la mutarità (per l’università e le classi preparatorie). «L’élite francese è caratterizzata da una grande endogamia – precisa Monique Canto-Sperber che è stata direttrice della Normale-Sup dal 2005 al 2012 – gli stessi fanno lo stesso percorso», per ritrovarsi poi nelle Grandes Écoles, dove si accede per concorso, che in genere richiede 2-3 anni di classi preparatorie (anche queste selettive) e mantiene la divisione artificiale con l’università dove l’iscrizione resta generalmente aperta, anche se all’interno aumentano i percorsi selettivi o ci sono sbarramenti, come al secondo anno di Medicina. Una tendenza che ormai si sta generalizzando per i Master. Il 46% dei dirigenti delle società che compongono il CAC 40 alla Borsa di Parigi (le società più quotate) provengono da due scuole, Polytechnique e Ecole Nationale d’Administration (Ena). Negli anni recenti, l’Ena ha dato tre presidenti alla Francia, Valéry Giscard d’Estaing, Jacques Chirac e François Hollande. I ministri Ségolène Royal e Michel Sapin, Jean-Pierre Jouyet (segretario generale dell’Eliseo), l’ex presidente di Axa Henri de Castries, l’ex primo ministro Dominique de Villepin, lo stesso Hollande erano tutti compagni di corso all’Ena negli anni ’80, membri della Promotion Voltaire. «In Francia ci sono 500 persone che decidono tutto», critica il giornalista-saggista Peter Gumbel, come succedeva in Gran Bretagna fino a una trentina di anni fa. Quest’anno, tra gli 11 candidati solo due sono enarchi: Macron e il sovranista Dupont-Aignant.

Alcune Grandes Écoles si stanno aprendo: è il caso, per esempio di Sciences-Po, che oggi ha il 30% di borsisti e da un po’ di anni permette l’accesso a studenti meritevoli delle Zep, senza passare per il concorso (ostacolo quasi insormontabile per chi non ha i codici della classe dirigente o anche solo le conoscenze linguistiche).

Cité Universitaire, gli studenti del mondo

Nella cintura delle fortificazioni di Thiers (1845), in un grande spazio alberato di 34 ettari, su iniziativa del petroliere Emile Deutsch de la Meurthe, da metà degli anni ’20 è iniziata la costruzione delle Maisons, un progetto basato su una prospettiva umanista e pacifista, per ospitare studenti (a partire dal Master) e ricercatori di tutto il mondo. Oggi le Maisons sono 40, con 5.800 posti letto e una presenza ogni anno di circa 12mila studenti, di 140 nazionalità. La Maison d’Italie è stata costruita nel ’56-’57. Vari teatri, corsi di ogni genere, avvenimenti culturali, scandiscono la vita della Cité U. Sono stati anche girati film e sono state ospitate qui personalità come Karen Blixen, Paul Nizan, Jean-Paul Sartre, Patrick Modiano, Julio Cortàzar, Antoni Tapiès, Aimé Césaire, Abdou Diuof e tanti altri. Molti francesi vi accedono.

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Le presidenziali in questo momento sono al centro delle preoccupazioni. I giovani sono depoliticizzati? Degli studenti di Sciences-Po, 25 iscritti all’École des Affaires publiques, hanno elaborato un programma di democrazia partecipativa (con Make.org, Facebook, Bluenove e il quotidiano Les Echos): un appello rivolto a persone con meno di 30 anni per proporre delle idee ai candidati, che ha ricevuto più di 40mila risposte. Sono stati individuati cinque temi, che hanno maggiormente interessato i giovani partecipanti – ecologia, economia, scuola, vita politica e sicurezza – a partire dalle quali sono emerse 4mila proposte, poi riassunte in cinque proposte. Stupisce che i giovani francesi non mettano l’Europa in testa alle loro preoccupazioni: 1) uscire dalla società dell’usa e getta; 2) ricevere una dotazione-trampolino (la Dot) per iniziare la vita attiva; 3) migliorare i dispositivi di orientamento fin dalla scuola media, per rinforzare e democratizzare l’accessibilità per tutti alle varie carriere; 4) costituire sul territorio delle Assemblee cittadine della vita parlamentare, formate da un comitato misto per due terzi di cittadini tirati a sorte, e per un terzo di politici eletti, con lo scopo di redigere regole deontologiche da applicare alla vita parlamentare; 5) proporre a tutti i giovani, dagli 11 ai 18 anni, un percorso di formazione all’impegno civico, per permettere a ognuno di implicarsi nella costruzione del bene comune.

Queste proposte incrociano le posizioni prese da alcuni candidati alle presidenziali: Benoît Hamon, per esempio, propone il reddito universale (nell’ultima versione rivisto un po’ al ribasso, più mirato su certe categorie di popolazione, a cominciare dai giovani di 18-25 anni), o Emmanuel Macron che propone un servizio civico di un mese per tutti i giovani.

(2, continua, la prima delle tre puntate è uscita il 29 marzo).