Promulgazione express per la riforma delle pensioni: alle 3,28 della notte Emmanuel Macron ha messo la sua firma sul testo di legge, che venerdì poco prima delle 18 aveva ricevuto il parere favorevole di costituzionalità dal Consiglio Costituzionale (con qualche ritocco, soppressi tutti gli zuccherini inseriti per far passare meglio la pillola amara). Entrerà in vigore dal 1. settembre.

LUNEDì alle ore 20 il presidente sarà in tv, nel tentativo di riannodare il dialogo, dopo lo strappo della pensione a 64 anni, con un’opinione pubblica che resta maggioritariamente ostile. Macron ha fretta di voltare pagina, di passare ad altro, di parlare delle condizioni di lavoro e di aprire altri capitoli, nella speranza che i tre mesi di forti mobilitazioni non avvelenino e paralizzino i prossimi quattro anni all’Eliseo. È in prima linea, teme una vittoria di Pirro, ottenuta sul piano giuridico ma senza la legittimazione politica. Per questo l’ipotesi di un cambio alla testa del governo, che potrebbe rappresentare una rottura simbolica, per il momento si allontana, un rimpasto sarebbe trascurabile (in altre crisi del passato, il primo ministro era saltato: Debré per la guerra in Algeria nel 1962, Mauroy per la crisi della scuola privata nel 1984, Raffarin per il referendum sul Trattato costituzionale europeo del 2005).

COME DOPO la rivolta dei gilet gialli, Macron è con le spalle al muro e deve trovare una via d’uscita. Ma, con una maggioranza sempre più relativa (4 deputate Renaissance, tra cui l’ex ministra Barbara Pompili, hanno fondato un partitino “apparentato”, critico sulle pensioni), manca di alleati in parlamento. I sindacati preparano la risposta: sarà il primo maggio, dopo una giornata di “collera ferroviaria” questo giovedì. Mentre ieri ci sono state ancora delle manifestazioni, in particolare degli scontri a Rennes.

Dopo alcuni attacchi contro il Consiglio Costituzionale, rientrati in fretta perché prendevano di mira il sistema costituzionale, le reazioni dell’opposizione si sono concentrate sul “metodo Macron”. Per promulgare una legge, il tempo ufficiale sono 15 giorni. Ma, dice Fabien Roussel del Pcf, «Macron e la sua banda» hanno agito «come dei ladri, di notte», «hanno fatto una rapina della democrazia». Per Marine Tondelier di Europa-Ecologia è stata «una provocazione, una nuova fanfaronata di Macron». Il leader della France Insoumise, Jean-Luc Mélenchon vede «un’intimidazione dei francesi di notte» da parte di «un ladro di vita». Olivier Faure del Ps cita un proverbio messicano: «Hanno voluto sotterrarci, ma non sapevamo che eravamo dei semi». E parla di «disprezzo» e di «provocazione».

ANCHE I SINDACATI parlano di «segno di disprezzo». Tutti hanno rifiutato l’invito di Macron all’Eliseo per il prossimo martedì e si concentrano sulla reazione del primo maggio. Per Sophie Binet della Cgt, la promulgazione express «è stata un segno di violento disprezzo del presidente per la popolazione e i sindacati», per Laurent Berger della Cfdt, «dall’inizio c’è stato un disprezzo costante dei lavoratori». Ancora venerdì avevano fatto appello «solennemente» a Macron per convincerlo a «non promulgare» la riforma, «solo modo per calmare la rabbia che si esprime nel paese».

MA IL PRESIDENTE non ha il potere di non promulgare una legge approvata – basti pensare al conflitto istituzionale in casi di coabitazione con un governo di diversa parte politica. Il dettaglio qui è la fretta eccessiva di Macron. Con questa decisione, il presidente (venerdì in visita al cantiere di Notre-Dame aveva affermato «il mio motto è non cambiare rotta») ha voluto dare una dimostrazione che la democrazia di governo è più forte di quella della contestazione. Ma ha finito per mettere la crisi istituzionale al centro: il simbolo terribile sono stati i poliziotti schierati venerdì a difesa della sede del Consiglio Costituzionale.

I saggi, che venerdì hanno bocciato la domanda di Rip (referendum) presentata dalla sinistra, dovranno pronunciarsi su una seconda richiesta, il 3 maggio. Il nuovo testo è giuridicamente più consistente, il primo è stato respinto perché presentato il 20 marzo (subito dopo il ricorso al 49.3 da parte del governo per far passare la riforma), chiedeva un voto popolare su una legge che ancora non esisteva.

COMUNQUE, in caso di approvazione del secondo Rip la strada sarà lunga e in salita: devono essere raccolte 4,8 milioni di firme di elettori (il 10% del corpo elettorale) e se il Parlamento riesaminasse la legge entro 6 mesi, il referendum salterebbe.