Cosa sai fare Simon, gli chiedono. Lui risponde che non sa cucinare né pulire un gabinetto, e però sa come rifare un letto. Chi è Simon? Un ragazzo disabile come gli altri coi quali va in gita, mette in scena un amore a teatro e scopre la sessualità di nascosto dagli insegnanti. Che corre nel vento e ha paura di perdersi. Poi viene fuori che lui è diverso, che non è disabile affatto, la sua era una finzione, ma a quale scopo? Simon de la montaña è l’esordio di Federico Luis, primo film nella Semaine de la Critique che si è aperta ieri con Les Fantomes di Jonathan Millet – in proiezione speciale.

In apparenza, almeno fino all’improvviso detour, un film di adolescenza, un coming of age che muta trasformandosi quasi in una investigazione della personalità del suo protagonista, fra le ragioni possibili che lo hanno portato lì. Un gioco cinico? La promessa di ottenere delle facilitazioni, in una condizione di economia non semplice? O il senso di inferiorità verso il mondo e il bisogno di nuove sicurezze? Dalla madre sconvolta che gli chiede perché, si arriva in campagna, Simon si occupa degli animali, e poi?

LA SCOMMESSA di Luis, nato a Buenos Aires nel 1990, si gioca essenzialmente su due livelli: da una parte la prossimità esasperata ai corpi dei suoi attori (c’è Dumont sicuramente nei suoi riferimenti, e persino troppo), dall’altra un lavoro sul paesaggio che abitano, filmato per essere il più possibile reale e quotidiano. Simon vi appartiene e se ne allontana, è sempre qualcos’altro secondo chi ha davanti, mimetico forse folle o cinico o tutto insieme, ma è lui la bussola che orienta la narrazione. La visione delle cose è nel suo punto di vista, in una soggettività esasperata dai suoni che un apparecchio acustico nel suo orecchio – anch’esso per finta – amplifica in una strana eco.

C’è molto nelle linee di questa storia che non è semplice da controllare anche se Luis ha una certa esperienza con diversi cortometraggi alle spalle molto premiati. E qualcosa gli sfugge e si perde nella filigrana di un film che pone molte questioni, che prova a interrogare le norme e le valutazioni dell’essere al mondo e della società. E che è anche il risultato dell’importanza e del lavoro di supporto ai registi più giovani dell’Incaa – l’Istituto del cinema argentino chiuso da Milei, provocando un grave danno alla cultura. Ciò che manca a Simon è forse un po’ di libertà rispetto a una traccia millimetrata senza vuoti né epifanie.