Comunque vadano, le elezioni legislative portoghesi segnano la fine di un ciclo, durato otto anni, quello dei tre governi del Partito Socialista presieduti da António Costa: il primo (2015-2019) sostenuto da una maggioranza con i partiti di sinistra (Blocco di Sinistra e Partito Comunista Portoghese), il secondo (2019-2022) di minoranza e il terzo (2022-2024) con maggioranza assoluta socialista.

Comunque vada oggi, Costa non sarà primo ministro: dopo le sue dimissioni – causate da uno scandalo giudiziario che ha toccato vari esponenti del suo governo ma non lui, si è scoperto poco dopo – è seguita la scelta dei socialisti di puntare su Pedro Nuno Santos, esponente dell’area più progressista del partito. Gli scenari elettorali sono aperti: il più realistico è una maggioranza della destra, quasi certamente con gli ultraliberali di Iniziativa Liberale e possibilmente con la destra estrema di Chega (Basta). Ma è anche possibile che le urne permettano una maggioranza che vada dal Partito Socialista alla sinistra: una riedizione di quella geringonça (trabiccolo) che aprì il ciclo nel 2015.

MA CHE PAESE LASCIA Costa, otto anni dopo? La narrativa dominante, ma anche lo sguardo speranzoso di tante sinistre europee, parlano del superamento della austerità europea e di un «miracolo economico», parola di Paul Krugman. Effettivamente, il primo governo Costa aveva cancellato alcune delle misure più dure (tasse e tagli agli stipendi della amministrazione pubblica) imposte dal governo di destra sotto i diktat della Troika, durante il salvataggio finanziario del paese. E i dati macroeconomici parlano di una crescita quasi sempre più rapida della media europea (unica eccezione, il 2020 pandemico).

In questi otto anni, il Portogallo è diventato una meta per una molteplicità di flussi e investimenti: dal boom del turismo all’arrivo di categorie, come pensionati, studenti internazionali e recentemente digital nomads, interessate dal bel clima e da una panoplia di sconti fiscali; dagli investitori nell’immobiliare alle grandi piattaforme della sharing economy – Uber, ad esempio, usa il Portogallo, in collaborazione con il governo, come paese pilota per sperimentare le sue “innovazioni” in Europa.

MA, SOTTO LA FACCIATA, le cose non sono così rosee. La scelta di Costa e Mário Centeno, prima ministro della Finanza e ora presidente del Banco del Portogallo, è stata di puntare su una stabilità finanziaria rigidissima, con deficit sempre sotto target, grazie al trucco di limitare le spese messe a bilancio (le cativações), e, addirittura, nel 2019, un piccolo superavit. La stabilità finanziaria, insomma, nasconde il fatto che la austerità è stata, sì, ammorbidita, ma di fatto resa strutturale durante questi otto anni di crescita. Ne risentono tutti i servizi pubblici, e soprattutto un sistema sanitario al collasso.

Ma è nel campo della casa che si concentrano le contraddizioni di questo ciclo. Da un lato, il modello di crescita basato sulla attrazione di capitali e persone dall’estero ha causato un’esplosione dei prezzi senza pari in Europa – difficile quantificare con precisione in assenza di dati rigorosi forniti dallo stato, ma dal 2015, al livello nazionale, i prezzi degli affitti e della vendita sono almeno raddoppiati (nelle grandi città, anche di più), mentre i salari sono aumentati di meno del 25%. Dall’altro, nonostante una miriade di nuovi programmi, l’investimento pubblico continua a essere insufficiente per contrastare le dinamiche di mercato con una promozione robusta di case popolari o a prezzi accessibili.

D’altronde, anche quando, nel 2017, Costa aveva dichiarato la casa la nuova priorità del governo, aveva anche specificato che non aveva intenzione di tornare indietro rispetto alla liberalizzazione del mercato portata avanti dalla destra negli anni della Troika: il mercato degli affitti continua a essere un far west (con contratti della durata standard di un anno), mentre investitori e speculatori continuano a beneficiare di una miriade di benefici fiscali. Intanto, il conflitto diventa sempre più acuto, con un movimento per la casa che è diventato di massa e ha portato svariate decine di migliaia di persone in piazza tre volte nell’ultimo anno.

SE VINCERÀ LA DESTRA, che propone di liberalizzare le costruzioni, andrà ancora peggio. Il Partito Socialista, dal suo lato, promette sconti fiscali ai giovani per l’acquisto della casa – una misura già usata in passato e che ha semplicemente spinto i prezzi in alto. I partiti di sinistra sono gli unici a proporre la regolazione dei prezzi degli affitti. Solo una loro presenza al governo potrà, forse, alleviare la drammatica crisi abitativa.