Il Grande Dibattito nazionale è finito ufficialmente ieri, dopo due mesi e mezzo di riunioni. Oggi, i gilet gialli scendono di nuovo in piazza – è il XVIII Atto – per cercare di tenere viva la protesta, che è in calo settimana dopo settimana nei cortei, ma il malessere sociale non si è placato. Anche il governo ed Emmanuel Macron non chiudono la sequenza del dibattito: inizia la fase più delicata, quella delle “risposte” a una moltitudine di richieste e progetti, anche contraddittori. Ieri, il primo ministro Edouard Philippe ha accennato a qualche proposta, molto simbolica, dal ritorno all’indicizzazione delle pensioni sull’inflazione fino a una grande riforma dell’alta amministrazione, per venire incontro alla rivolta contro la “casta” (obbligo di lavorare sul territorio prima di entrare nei palazzi del potere, cambiamenti all’Ena, la Scuola nazionale dell’amministrazione, abolizione del cumulo degli stipendi e delle pensioni).

ATTRAVERSO UN’ANALISI tecnica affidata a istituti statistici privati, verranno individuate le principali domande, venute fuori da più di 10mila riunioni che si sono tenute in tutto il paese da metà gennaio, 1,4 milioni di contributi on line, 16mila cahiers de doléances compilati nei comuni. Alla fine di questa settimana, sono state rivenute delegazioni di ong, sindacati, padronato. Laurent Berger, segretario della Cfdt, assieme all’ex ministro Nicolas Hulot, ha redatto un nuovo Patto sociale e ecologico, un piano di riforme in 66 punti, che propone un Green New Deal, per permettere la transizione energica e garantire al tempo stesso il “potere di vivere”, in un paese dove le “spese obbligate” delle famiglie sono in crescita e i salari stagnano. I partiti politici hanno avanzato delle proposte. Questo fine settimana e il prossimo sono organizzate 18 conferenze di cittadini a livello regionale, più una per i giovani, i cui partecipanti sono cittadini tirati a sorte – è una richiesta dei gilet, che hanno insistito sulla non rappresentatività dei politici rispetto alla società (in realtà non è stato facile trovare cento persone disposte a partecipare alle assemblee, il numero è stato dimezzato). Senato e Assemblea discuteranno.

I sindaci hanno svolto un ruolo centrale nell’organizzazione dei dibattiti e per la raccolta delle critiche, e adesso chiedono una maggiore decentralizzazione, che rivalorizzi la loro carica elettiva, più vicina alla popolazione.

LA “RESTITUZIONE” ufficiale dei risultati del Grande Dibattito attorno ai 4 temi scelti da Macron – democrazia e cittadinanza, transizione energetica, fisco e spesa pubblica, democrazia e cittadinanza – è prevista per metà aprile. Ma Macron, che in maniche di camicia ha incontrato cittadini riuniti in assemblea in quasi tutto il paese, continuerà le riunioni fino all’estate, in quella che ormai viene definita una «campagna permanente» (che si incrocia forzatamente con quella per le europee del 26 maggio), perché con questo sistema ha ritrovato uno slancio che sembrava compromesso del tutto. Il problema è che alle riunioni dei cittadini ha partecipato una parte della popolazione, che non coincide necessariamente con quella che ha animato la protesta dei gilet gialli: un sondaggio dice che per il 62% dei francesi il governo non terrà conto delle richieste del Grande Dibattito.

I GILET, DEL RESTO, hanno organizzato una loro raccolta di proteste e proposte on line, Le vrai débat. Secondo un’inchiesta i partecipanti erano in maggioranza uomini, di una certa età (giovani pensionati), molti diplomati, la partecipazione regionale alle riunioni e quella ai cortei dei gilet non coincidono. I 5 “garanti” che erano stati nominati all’inizio del Grande Dibattito hanno espresso un «bilancio positivo con qualche riserva» sullo svolgimento di questa operazione di psicoanalisi collettiva che ha attraversato la Francia per due mesi e mezzo. Le “riserve” riguardano soprattutto le “interferenze” del governo (e di Macron), che sono intervenuti in corso d’opera, cercando di indirizzare i dibattiti e di limitare l’arco degli interventi. «Hanno partecipato solo quelli che volevano, non sono il riflesso della società, le conclusioni non possono essere considerate come un grande sondaggio», mette in guardia uno dei garanti.

IL MOVIMENTO dei gilet gialli era nato come una rivolta fiscale, nel novembre 2017. La questione della transizione energetica e del cambiamento di abitudini di vita resta centrale, in un momento in cui si moltiplicano le manifestazioni per la difesa dell’ambiente, da parte dei giovani, come ieri, ma anche oltre, come la Marche du siècle che si svolge oggi in più di 200 città francesi. «Il governo ha fatto un doppio errore – spiega l’economista Jean Pisani-Ferry – il primo è stato di considerare che la transizione ecologica si risolva con il fisco. Tassare il carbonio è indispensabile ma a condizione di inserirlo in un progetto globale di mutazione ecologica dei modi di vita. Il secondo è stato di non restituire direttamente e integralmente il prodotto della tassa» a favore della transizione energetica (invece l’aumento delle tasse sulla benzina sarebbe in parte andato a ridurre il deficit pubblico). Dai gilet sono venute richieste soprattutto sull’aumento del potere d’acquisto e sull’eguaglianza fiscale, sul ritorno dell’Isf (patrimoniale, oggi ridotta ai beni immobiliari), ma anche proposte più radicali, come il Ric (referendum di iniziativa cittadina), che alcuni vorrebbero estendere fino alla revocazione degli eletti nel corso della legislatura. Molto forte la richiesta di ripristino dei servizi pubblici nei “deserti” territoriali della Francia periferica.

DOPO 4 MESI DI PROTESTE, anche molto violente – l’assalto all’Arco di Trionfo e il tentativo di entrare in un ministero ne sono i simboli – resta una frattura profonda con le autorità, dovuta alla repressione delle manifestazioni e all’uso del Lbd40 da parte della polizia, con più di 500 feriti gravi e 174 inchieste aperte dalla “polizia della polizia” per uso abusivo e eccessivo di armi repressive. La tensione è tale che addirittura Macron ha investito il Consiglio costituzionale, con una richiesta sulla nuova legge anti-casseurs, che prevede un daspo amministrativo che potrebbe essere considerato anticostituzionale perché limita il diritto di manifestare.