«Fermate i travesticidi». Una giornata di lotta in Argentina
La rabbia delle persone transgender 67 le vittime l’anno scorso. In marcia per il quarto anno consecutivo a Buenos Aires per chiedere diritti e giustizia
La rabbia delle persone transgender 67 le vittime l’anno scorso. In marcia per il quarto anno consecutivo a Buenos Aires per chiedere diritti e giustizia
«Non ci ferma la polizia, non ci fermano le discriminazioni, non ci ferma l’odio: non ci fermerà certo la pioggia!». Si alzano queste parole dal furgone tra la folla ferma in Plaza de Mayo, nel pieno centro di Buenos Aires. La giornata è fredda, ma molte persone continuano a raggiungere la piazza, punto di inizio del corteo.
Per il quarto anno consecutivo la capitale argentina viene attraversata dalla marcia contro la violenza verso le persone transgender. La manifestazione si tiene nella giornata dell’orgoglio lgbt, celebrata in tutto il mondo in ricordo di quel 28 giugno del 1969 in cui la comunità lesbica, gay, bisessuale e transgender reagì alle costanti aggressioni portate avanti dalla polizia contro lo Stonewall Inn, bar lgbt di New York. Allora, la repressione fu feroce. Ma la manifestazione che oggi sfila nella capitale argentina non è una mera ricorrenza, né tantomeno una festa: lo sottolinea la nota letta dal camion. «È una giornata di lotta. Vogliamo che la società smetta di fingere di non vederci. Vogliamo vivere potendo costruire il nostro futuro, come tutti. E per farlo, vogliamo che lo stato tuteli i nostri diritti».
Se l’Obelisco, uno dei simboli della capitale, oggi svetta illuminato dai colori arcobaleno simbolo della comunità lgbt, la realtà delle persone transgender è ancora fatta di esclusione e invisibilità. «Nonostante i discorsi di libertà e uguaglianza, il sistema economico, giuridico, politico e sociale del paese continua a discriminarci», afferma una partecipante, mentre dal corteo si sente cantare Señor, señora, no sea indiferente; se matan a travestis en la cara de la gente (Signore, signora, non siate indifferenti; si uccidono transgender di fronte alla gente).
Sebbene in Argentina non esistano dati ufficiali – una mancanza che dice tanto sull’invisibilità sociale in cui vivono le persone lgbt- secondo l’Osservatorio nazionale sui crimini di odio della Defensoría del Pueblo di Buenos Aires nel 2018 sono state 67 le persone che hanno perso la vita per crimini legati all’identità di genere. Per quanto riguarda l’anno in corso, già 37 i casi registrati.
È proprio dal dolore e dalla rabbia per una dolorosa perdita, quello di Amancay Diana Sacayán, leader del Movimento Antidiscriminatorio di Liberazione (MAL), che nel 2015 è nata la prima marcia. Nel 2018 l’omicidio di Diana Sacayán fu riconosciuto a livello giuridico come travesticidio. «Un grande risultato per la nostra collettività, riconosciuta nelle sua identità», affermano le rappresentanti di collettivi e associazioni integranti il corteo, che denunciano la persistenza di un «sistema di oppressione messo in atto dallo stato, a cui si aggiunge l’invisibilità mediatica».
La violenza uccide, così come la povertà e l’esclusione: lo affermano collettivi e associazioni, lo conferma l’Istituto nazionale contro la discriminazione, secondo cui in Argentina la speranza di vita delle persone trans si attesta tra i 35 e i 45 anni. «Le persone transgender vengono escluse dalla famiglia, non riescono ad accedere al lavoro e spesso non vedono riconosciuto il diritto alla salute. Una condizione di discriminazione strutturale che esige una risposta istituzionale urgente» afferma il Centro studi legali e sociali, sottolineando il peggioramento della situazione nel contesto di crisi economica in cui versa il paese.
Non è un caso che il movimento contro la violenza verso le persone transgender rifiuti decisamente la politica del governo di Macri, l’intervento dell’Fmi nella politica economica argentina e il conseguente indebitamento. E lo fa identificandosi nel movimento femminista e rivendicandone la pluralità: «Siamo parte attiva del movimento femminista e ne evidenziamo il carattere antipatriarcale e anticapitalista. Riconosciamo le nostre differenti origini, la nostra appartenenza ai popoli originari, la nostra afrodiscendenza. Riconosciamo il nostro carattere interculturale, e sappiamo che su di esso si intensifica la violenza».
Le richieste portate al mondo politico sono chiare: primo fra tutti, il cupo laboral trans, ossia le quote nel settore pubblico per le persone transgender. Una misura prevista dalla legge 14.783 del 2015, che prevede un minimo dell’1% di personale transgender nel settore pubblico. Una norma mai ratificata dall’esecutivo bonariense. Altra misura sollecitata dalla marcia è la Ley de Reparación Histórica, che prevede il riconoscimento dei «moltissimi casi di violenza operata dalle forze dell’ordine contro persone trasgender» e un conseguente indennizzo per le vittime.
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