In un video registrato da una finestra a Copacabana, Rio de Janeiro, migliaia di sostenitori di Jair Bolsonaro protestano sul lungomare. La didascalia afferma che la registrazione è datata 7 settembre, Festa dell’Indipendenza brasiliana, l’anno è il 2022. O meglio sarebbe. L’informazione, infatti, è falsa: il video è stato realizzato un anno prima e viene “riciclato” per dare l’impressione di un sostegno massiccio al presidente in vista delle elezioni presidenziali del prossimo 2 ottobre.

UN’ALTRA STORIA che circola su WhatsApp informa che la regina britannica Elisabetta II avrebbe elogiato il presidente brasiliano nei suoi ultimi momenti di vita. La grafica e il montaggio creano l’illusione che si tratti di un reportage del portale G1. Chiaramente, non è così. Ma c’è anche un intero portale, Lula Flix, che raccoglie decine di fake news sull’ex-presidente Lula. Il dominio del sito contiene il codice di registrazione fiscale della campagna elettorale di Bolsonaro, che ne risulta il titolare. Curatrice del sito è la stessa agenzia di marketing digitale che lavora per il presidente uscente.

Di contro, circola anche un video di Bolsonaro che rimprovera, con parole volgari, la first lady Michelle, prima delle cerimonie del 7 settembre di quest’anno. Ma la verità è un’altra: su immagini reali, un terzo soggetto ha registrato un’imitazione della voce di Bolsonaro offendendone la moglie. Un’altra notizia evidentemente priva di fondamento, secondo cui Bolsonaro sarebbe stato escluso dalle elezioni del 2022, è stata pubblicata su alcuni profili social.

TUTTE QUESTE NARRAZIONI, tra centinaia di altre, circolano per lo più sui social network e sulle applicazioni di messaggistica, per la loro rielaborazione della versione dei fatti si avvalgono di strumenti di editing di testi, video e immagini.

Una parte di questi materiali vengono però verificati da giornalisti e agenzie dedite a un’attività che negli ultimi anni sta prendendo piede anche in Brasile: il fact checking. Una pratica nata alla fine degli anni ’90 che ora, nell’era della post-verità, si è professionalizzata come mai prima, diventando un’attività di grande attualità e utilità, di fronte alla sfiducia della popolazione e alle sue nuove abitudini di consumo dell’informazione.

A sinistra, influencer e blogger che operano da quando il governo era comandato dal Pt. A destra, figure pubbliche, religiose e persino una solida struttura all’interno del Palácio do Planalto, il cosiddetto «gabinete do ódio», un gruppo di funzionari, familiari e alleati del presidente che lavorano per creare strategie di comunicazione e disinformazione a favore di Bolsonaro.

L’ANNO SCORSO è stato dimostrato che il gruppo utilizza la macchina pubblica per operare e, di conseguenza, ha accesso a informazioni privilegiate e a tecniche sempre più avanzate, come l’utilizzo dei cosiddetti bots (profili automatizzati che operano sui social). Da entrambi i lati, il coinvolgimento dei militanti e dei sostenitori è fondamentale nella diffusione dei “falsi”.

La disinformazione è sempre esistita nei processi politici, raccontano gli esperti. «Le bugie hanno fondato il mondo», riflette Natália Leal, direttrice esecutiva di Agência Lupa, una delle prime agenzie di fact checking in Brasile. «Quello che è decisivo oggi è la velocità con cui possiamo verificare le informazioni», spiega. Agência Lupa ha le sue origini con le elezioni del 2015 e il suo lavoro si intensifica durante il periodo elettorale con la verifica delle dichiarazioni dei candidati e dei loro alleati. Tutte le verifiche vengono riportate sui canali dell’agenzia, che segnalano cosa è falso e cosa è vero nelle narrazioni delle campagne politiche.

A PARTIRE DALLE ELEZIONI del 2018, la preoccupazione per questo fenomeno è diventata una questione centrale in Brasile a seguito degli sviluppi che hanno portato Bolsonaro al potere. Negli ultimi quattro anni sono state adottate nuove misure dalle principali piattaforme digitali e dalla Magistratura brasiliana per contrastare la disinformazione. Il Tribunale Supremo Elettorale (TSO) ha stretto accordi con diverse organizzazioni e ha creato regole per l’attività dei grandi social network.

È nato anche il sistema di Allerta per la Disinformazione, attraverso il quale l’utente può segnalare notizie false sul processo elettorale. Tra il mese di luglio e il 12 settembre, sono state inoltrate 14.998 notifiche basate su queste segnalazioni alle principali piattaforme online. L’89% si riferiscono a contenuti su YouTube.

SECONDO LA GIORNALISTA Ana Cristina D’Ângelo, editrice del portale Desinformante, che ha lo scopo di generare più consapevolezza sull’impatto della disinformazione, le grandi aziende di tecnologia hanno un’importante responsabilità in questo ambito. «I social network hanno la stragrande maggioranza dei loro utenti nel sud del mondo. Il loro impegno dovrebbe essere all’altezza di questi numeri», osserva D’Ângelo.

Tuttavia, ci sono ancora omissioni e difficoltà. È il caso di Meta, che non ha adattato i suoi strumenti di controllo alle particolarità linguistiche del portoghese brasiliano. «Nel 2021, da gennaio a marzo, Bolsonaro aveva infranto le regole di Facebook 29 volte. Ma i suoi contenuti erano ancora in onda», critica Natália Leal. Sui motivi per cui la disinformazione si diffonde a un volume decisamente maggiore nei profili di destra. Leal osserva che «il discorso della destra è molto legato ad argomenti religiosi, alla negazione della scienza, ad argomenti che mettono in discussione le istituzioni tradizionali e che promuovono l’incitamento all’odio. Queste sono questioni – spiega – che toccano il lato emotivo delle persone, l’ambito in cui la disinformazione funziona più facilmente».

SCREDITARE I MEZZI EGEMONICI di comunicazione attraverso un’ottica cospirazionista è per D’Ângelo un’altra strategia comune dell’estrema destra. Inoltre, il bolsonarismo migra sempre verso reti alternative, aggirando le restrizioni. «Se la Giustizia Elettorale cancella un gruppo – dice la giornalista – ne creano subito un altro. Cambiano rete, vanno su Truth, Parler, Gather. Nelle reti sociali, secondo l’Observatório das Eleições, Facebook è la rete dove c’è una maggiore presenza di utenti e di contenuti bolsonaristi, mentre Twitter è un ambiente più favorevole per Lula. Bolsonaro ha più seguaci su tutte le reti.

IN QUESTO CONTESTO, combattere la disinformazione contribuisce a proteggere la democrazia. Secondo il TSE, in ambito politico, il fenomeno lede la qualità del dibattito pubblico, rende difficile l’accesso alla verità, diffonde sentimenti di odio e intolleranza. Di conseguenza si generano un clima di instabilità politica e anomalie nei processi elettorali. «L’intera società è strutturata sulla base della fiducia. Se questa fiducia si destabilizza, abbiamo una rottura nel tessuto sociale», sottolinea Leal. Che aggiunge: «Cosa resta della democrazia se le istituzioni e la verità non vengono riconosciute?».