Alternative für Deutschland sarebbe peggiore della Lega, del Rassemblement national, di Vox, di Fratelli d’Italia, di Wilders? Più tossica, più impresentabile? A ben guardare non si vede il perché dovrebbe. Forse è solo che certe cose pronunciate in lingua tedesca fanno più paura e che in Germania la sensibilità antifascista e le protezioni istituzionali sono ancora abbastanza sviluppate da ostacolare ogni possibile alleanza tra il centro conservatore e l’estrema destra, sotto sorveglianza dei servizi.

Il pretesto colto al volo da Lega e Le Pen per liberarsi di un sodale sconveniente e di ostacolo alla tattica elettorale è l’affermazione da parte dello Spitzenkandidat della Afd secondo cui «chi indossava la divisa delle SS non era automaticamente un criminale». Possibilità da non escludere, ma alla quale si sarebbe dovuto aggiungere che però svolgeva una funzione e un compito ferocemente criminali, tali da impedire qualunque atteggiamento assolutorio. Ad ogni buon conto, quante volte tra le fila della destra italiana si è sostenuto che chi affiancava i tedeschi nelle milizie fasciste di Salò non era necessariamente un criminale (e magari addirittura un patriota che sbaglia), senza alcuna precisazione sul ruolo oggettivo di massacratore collaborazionista che zelantemente svolgeva. E perfino nella sinistra non sono mancate inclinazioni assolutorie e riconciliative da parte di un pessimo presidente della camera dei deputati, pioniere di quello sdoganamento dei fascisti che alla fine ha condotto i loro eredi al governo.

Ma le affinità di Afd con le forze politiche identitarie che oggi ingenerosamente la espellono dal gruppo di Id non finiscono certo qui. Sull’immigrazione e la omogeneizzazione della società europea i tedeschi non manifestano idee diverse da Wilders e assai simili a quelle della Lega e del Rassemblement. Per non parlare della paccottiglia valoriale occidentalista e, naturalmente, dell’assoluta prevalenza dell’interesse nazionale. Ma, come accennato, detto in tedesco è più inquietante. Biörn Höcke, il più radicale degli esponenti di Afd, è finito sotto processo per aver proclamato «tutto per la Germania», parola d’ordine ricorrente durante il nazionalsocialismo. Ma provando a tradurre questa espressione in italiano e per l’Italia potremmo arrivare a includere tra i sospetti perfino Forza Italia e Noi moderati. Se qualche differenza sostanziale può ravvisarsi tra Afd e i colleghi del sud è più che altro il residuo di quel rigorismo originario che i professori fondatori del partito sbandieravano contro i parassiti spendaccioni del meridione europeo e che sempre si conserva sottotraccia in piena sintonia con l’ordoliberalismo dominante.

La temporanea messa al bando dell’estrema destra tedesca non può però mascherare il fatto che il confine, l’argine, il fossato che doveva separare nettamente il centro dalla destra estrema in Europa è già rovinosamente crollato prima delle elezioni di giugno e quindi in grado di condizionarle. La ricca Olanda è il laboratorio dove uno dei più indigeribili xenofobi e puristi razziali come Wilders è riuscito, pur rinunciando al premierato, a mettere in piedi il governo con un indegno partito liberale, il corporativismo contadino, e una formazione di populisti democristiani euroscettici, che promette una decisa svolta nazionalista e la spietata persecuzione degli immigrati. I Paesi bassi hanno dimostrato che tutto si può fare. E, del resto, l’estrema destra condiziona già il governo in Svezia e da tempo è di casa nei palazzi del potere a Vienna. Per il Partito popolare europeo, ma anche per i liberali, queste formazioni sono un concorrente, ma sempre di più anche una opportunità. I segnali di una possibile alleanza del Ppe con singoli esponenti o spezzoni dell’estrema destra sono sempre più chiari e frequenti.

Non vi è dunque proprio nessuna garanzia che l’attuale maggioranza al Parlamento europeo possa essere conservata. In Germania non regna più la «Grande coalizione» a fare da modello alla politica europea e i democristiani tedeschi cercano a destra una riaffermazione della propria identità che ritengono offuscata dalla stagione politica ecumenica di Angela Merkel. A frenarli, ma sempre più debolmente, è la consapevolezza che la costruzione europea sulla quale poggiano comunque molti degli interessi a cui devono rispondere, difficilmente riuscirebbe a respirare stretta nell’abbraccio sovranista. Il dilemma non è di facile soluzione, soprattutto quando ci sono di mezzo simpatie putiniane, ma a destra sembra prevalere una netta tendenza al compromesso. In ogni modo, a prescindere dalle alleanze, un deciso spostamento a destra della politica europea è già avvenuto e continua ad accentuarsi, senza incontrare alcuna resistenza da parte di un pallido raggruppamento socialista peraltro disposto, su diversi terreni, ad assecondarlo.