Il deputato pentastellato Mario Perantoni ha ricevuto ieri dalla commissione Giustizia della Camera, che presiede, il mandato come relatore sulla riforma dell’ergastolo ostativo, il cui testo unificato ed emendato, licenziato dalla stessa commissione mercoledì scorso, approderà in Aula lunedì 28 febbraio (anche se la prossima settimana, in teoria, sarebbe quella dedicata alla ripresa dell’iter della legge sul suicidio assistito).

I pareri positivi delle commissioni Bilancio e Affari costituzionali sono giunti ieri a sancire l’ulteriore passo avanti del provvedimento resosi necessario da quando, il 15 aprile 2021, la Consulta definì incostituzionali le leggi vigenti che precludono «in modo assoluto, a chi non abbia utilmente collaborato con la giustizia, la possibilità di accedere al procedimento per chiedere la liberazione condizionale, anche quando il suo ravvedimento risulti sicuro», e diede un anno di tempo al legislatore (scadenza maggio 2022) per sanare questo vulnus.

Il testo base sembra soddisfare tutto l’arco politico, dalla maggioranza (qualche dubbio solo da Italia viva e Leu) fino a Fd’I che ieri ha espresso apprezzamento per le ultime modifiche che «permettono di mantenere» l’ergastolo ostativo (ovvero fine pena mai) «anche nella sua funzione di strumento di lotta alla mafia e al terrorismo».

Di diverso avviso è ad esempio l’associazione Antigone secondo la quale «il testo sembra essere destinato più a salvare un buon margine di ostatività per alcune condanne piuttosto che ad adempiere a quanto deciso dalla Corte europea dei diritti umani con la sentenza Viola e dalla ordinanza della Corte costituzionale n. 97 del 2021». Secondo Patrizio Gonnella, presidente di Antigone, infatti, ci sono diversi punti critici. Il primo riguarda l’eliminazione della concedibilità del beneficio, già prevista dalla legge vigente, nei casi in cui sia accertata una «limitata» o «irrilevante» partecipazione al crimine.

Inoltre, «viene introdotta una sorta di corsa ad ostacoli per il richiedente, compresa la dimostrazione della esclusione dell’attualità di collegamenti “con il contesto nel quale il reato è stato commesso”; un concetto – spiega Gonnelle – tanto vago da risultare poco comprensibile». Senza contare il fatto che viene innalzato il limite di pena da scontare per essere ammessi al beneficio da 26 a 30 anni, «oltretutto senza che sia stata prevista alcuna disciplina transitoria, il che darà certamente luogo a problemi applicativi».

E infine, nelle udienze del tribunale di sorveglianza che decide la concessione dei benefici, il pm può essere lo stesso del tribunale distrettuale che ha emesso la sentenza di primo grado, «senza che sia dato capire chi, quando e come possa decidere tale anomala partecipazione (anche fuori distretto) di un pm che sarebbe incompetente».