«Il mio arresto e la mia detenzione credo siano non solo un’ingiustizia, ma un’ombra sulla tutela di quei diritti umani che l’Italia ha sempre affermato», lo scrive l’attivista curdo-iranianacMaysoon Majidi al presidente della Repubblica Sergio Mattarella. Detenuta dal 31 dicembre scorso nelle carceri calabresi, prima a Castrovillari e adesso a Reggio Calabria, Maysoon è accusata di essere una scafista.

FORTEMENTE PROVATA dallo sciopero della fame, la 27enne ha scritto e inviato al Quirinale una lettera in cui ribadisce la sua innocenza e invoca la «libertà provvisoria o una forma di detenzione alternativa». Il giudizio immediato, richiesto e ottenuto dall’accusa, è previsto per il prossimo 24 luglio nel tribunale di Crotone. La missiva al capo dello Stato è stata resa nota in una conferenza stampa ieri alla Camera, durante la quale sono intervenuti, tra gli altri, Laura Boldrini del Pd; Marco Grimaldi di Alleanza Verdi Sinistra, che hanno presentato interrogazioni parlamentari in merito a questa grave e kafkiana vicenda; Luigi Manconi, presidente dell’associazione A buon diritto; Riccardo Noury di Amnesty International Italia; Parisa Nazari, attivista del movimento Donna vita libertà.

DURANTE LA CONFERENZA stampa ha preso la parola anche Ferdinando Laghi, consigliere regionale in Calabria: «Al di là dell’attività politica, sono un medico. In questi mesi mi sono recato più volte in carcere a trovare Maysoon – ha riferito Laghi – ma dalla visita di ieri sono uscito impressionato. La ragazza è talmente dimagrita che non si capisce se nella canottiera che indossa ci sia una persona o sia appesa ad una stampella invisibile».

Nei giorni scorsi, in un accorato intervento alla Camera, anche la deputata 5stelle Anna Laura Orrico ha chiesto che si ponga fine a questo assurdo caso di alterazione del diritto penale. «Mi rivolgo a Lei, presidente della Repubblica, – ha scritto Maysoon Majidi – e al popolo italiano con la speranza che la mia voce venga ascoltata e che la mia situazione venga risolta con giustizia e umanità».

NELLA LETTERA, Maysoon afferma di essere stata arrestata, subito dopo lo sbarco sulle coste italiane, in seguito alle dichiarazioni «poi smentite» rilasciate da due testimoni che la indicavano come una persona vicina ai soggetti che, durante la traversata, operavano al timone dell’imbarcazione carica di esseri umani provenienti dalle coste della Turchia. Furono sufficienti queste sommarie e caotiche dichiarazioni per indurre gli inquirenti a indicarla come “il capitano”.

Da quel momento, la reporter e sceneggiatrice Maysoon, in fuga dall’Iran, dove sin da ragazzina ha lottato per i diritti delle donne e la battaglia di libertà del popolo curdo, sta vivendo la paradossale condizione di perseguitata anche in un Paese democratico che in teoria avrebbe dovuto quantomeno accogliere la sua istanza di protezione.

«SONO SOLO UNA delle persone migranti e richiedenti asilo che fuggono da situazioni di acuta sofferenza», spiega Maysoon. «Vi prego di non lasciarmi sola, la vostra azione può fare la differenza tra la speranza e la disperazione, tra la libertà e la prigionia», si legge in fondo alla missiva.

LA SUA VICENDA È ANALOGA a quella di Marjan Jamali, arrestata appena due giorni dopo lo sbarco, avvenuto a Roccella il 26 ottobre 2023. Vittima di violenze sessuali durante il viaggio della speranza, da parte degli stessi soggetti che poi l’hanno accusata di essere scafista, anche Marjan è stata arrestata. In seguito posta agli arresti domiciliari, si è potuta ricongiungere con il suo bambino.

«Abbiamo bisogno della solidarietà del maggior numero di persone e di associazioni per gettare luce su questo caso nel quale si manifesta un ulteriore inasprimento della politica migratoria italiana – ha detto ieri Luigi Manconi -. Ci troviamo di fronte a un’applicazione brutale dell’impegno preso dalla Presidente del Consiglio Meloni quando dichiarò: “Andremo a cercare gli scafisti lungo tutto il globo terracqueo”».

PER IL PROCESSO, che sarà celebrato il prossimo 24 luglio, il comitato spontaneo «Free Maysoon» lancia un presidio davanti al tribunale di Crotone.