Da un mese l’enclave armena del Nagorno-Karabakh (NK) è sottoposta a gravi interruzioni delle comunicazioni e delle forniture primarie di cibo e medicinali da parte dell’Azerbaigian. Attivisti civili appoggiati da Baku ostruiscono il cosiddetto Corridoio di Lachin, «cordone ombelicale» che connette queste comunità in Azerbaigian con lo stato armeno.

Lunedì l’unica linea elettrica fra le due parti è stata interrotta in seguito ad un incidente e gli azeri hanno ostacolato la rimessa in funzione causando interruzioni nell’erogazione.

RICONOSCIUTA dal diritto internazionale, per 26 anni la sovranità azera sul NK è stata contestata dal governo separatista dell’«Artsakh». A fine 2020, dopo anni di retorica irredentista e riarmo, Baku ha investito e sconfitto i ribelli con il supporto della Turchia. Un provvisorio modus vivendi è stato impostato intorno alla presenza di una forza d’interposizione russa con mandato di protezione della popolazione restante (circa 100.000) e garanzia delle comunicazioni tramite il Lachin.

Tuttavia, da quando la Russia con l’aggressione all’Ucraina si è impelagata nel confronto diretto con la Nato, è cresciuta la sua dipendenza dal tandem Ankara-Baku così che gli azeri hanno alzato il livello della pressione sull’Armenia.

Baku vuole che Erevan rinunci definitivamente ad ogni pretesa oltre le sue frontiere e acconsenta all’apertura di un asse di collegamento con la Turchia, il corridoio di Zangezur. Nella seconda metà del 2022 c’è stato uno stillicidio di attacchi azeri a cui le forze russe hanno assistito impotenti.

LA PASSIVITÀ DI MOSCA ha alimentato in Armenia un fronte di critici dell’alleanza fra i due paesi, formalizzata nelle due strutture integrative russe per l’ex-Urss, l’Unione Eurasiatica e l’Organizzazione del Trattato di Sicurezza Collettiva della Csi (Otsc).

Si segnalano nelle proteste gli estremisti di destra del «Polo nazional-democratico» (Pnd) che spingono per un confronto militare conl’Azerbaigian,, e che ieri hanno manifestato di fronte all’ambasciata russa. Domenica nella città di Gjumri, sede al confine con la Turchia della principale base militare russa a Sud del Caucaso, gli attivisti Pnd hanno circondato la struttura militare contro la «colonizzazione russa».

La situazione è molto difficile per il governo del premier Nikol Pashinjan, assurto al potere nel 2019 con una piattaforma pro-occidentale e ritrovatosi poi a dover proseguire l’allineamento pro-russo fra l’incudine turco-azera ed il martello dei nazionalisti interni. Questa settimana Pashinjan ha tuttavia dato sfogo verbalmente a tutte le inquietudini che attagliano l’Armenia, dichiarando che «la presenza militare russa non solo non garantisce la sicurezza armena, ma costituisce una minaccia».

Erevan ha inoltre informato che le manovre militari dell’Otcs, previste per quest’anno in Armenia, non avranno luogo. Pashinjan ha anche affermato di essere pronto a firmare un documento sulla risoluzione del conflitto in cui l’Armenia riconoscerà la sovranità di Baku sul NK. Allo stesso tempo il premier ha parlato di un possibile appello al Consiglio di Sicurezza Onu perché i caschi blu sostituiscano il contingente russo dopo la scadenza del mandato nel 2025.

LA UE, SEMPRE PRONTA a tentare di sostituirsi all’influenza russa nell’ex-Urss, sta anche preparando una missione civile di osservatori in Armenia. La Francia di Macron (dove la diaspora armena conta in termini elettorali) preme per un maggior coinvolgimento di Bruxelles a favore di Erevan, fatto che provoca le ire di Baku verso Parigi.

Nonostante l’intensificarsi delle dichiarazioni e delle manovre diplomatiche, è difficile che Pashinjan possa far seguire alle parole sviluppi qualitativamente nuovi. Dopo aver rifiutato per anni un compromesso con le posizioni azere, l’Armenia è ora ostaggio della situazione creata sul campo dal conflitto del 2020, stretta nella morsa turco-azera che la obbliga a cercare il supporto russo.

Sempre più connessi in termini energetici con l’Azerbaigian, anche gli attori occidentali hanno poco da offrire. Dal canto suo, la Russia è interessata a frenare le ambizioni turco-azere mantenendo le sue basi sul campo. Da qui una certa tendenza a giocare una commedia degli equivoci con Erevan e Baku di cui però subiscono le conseguenze i civili del Karabakh.