Con il vento l’Italia ha soddisfatto nel 2020 il 6,1% del suo bisogno energetico. Le circa 7000 turbine che ruotano per il 90,5% nelle regioni del Sud hanno prodotto 18,6 TWh di elettricità, grazie ad una potenza installata pari a 10,9 GW, circa la metà rispetto alla potenza degli impianti fotovoltaici presenti in Italia. Secondo l’attuale Piano nazionale italiano energia e clima (Pniec, stilato nel 2019) nel 2030 la produzione di eolico dovrebbe aumentare a 41,5 TWh all’anno. Tuttavia, per centrare gli obiettivi di decarbonizzazione fissati dal pacchetto legislativo europeo Fit 55, uno scenario di Anev (l’Associazione Nazionale di Energia del Vento) ipotizza che l’eolico dovrebbe arrivare a produrre 55TWh, quindi triplicare nell’arco di un decennio per arrivare a costituire il 16% del mix elettrico nazionale. Grazie ad nuova generazione di turbine, più potenti e più efficienti nel catturare il vento, in grado di lavorare un numero maggiore di ore l’anno, la potenza installata, e quindi il numero di aerogeneratori, dovrà aumentare del 120%, e non triplicare.

NATURALMENTE LA SCELTA di come, quanto e dove produrre elettricità da rinnovabili spetta al ministro della Transizione ecologica Roberto Cingolani che, dopo aver provato a riesumare l’opzione nucleare, sembra tornato su più miti consigli. «Noi puntiamo sulle rinnovabili, soprattutto su fotovoltaico ed eolico», va dicendo ora Cingolani in varie interviste, ma andrà messo nero su bianco nel Pniec, lo strumento di indirizzo del governo.

SE TRANSIZIONE VERSO FONTI RINNOVABILI deve essere, questa richiede una programmazione almeno decennale per l’adeguamento delle strutture di rete che trasmettono e distribuiscono l’elettricità da dove viene prodotta (prevalentemente al Sud), a dove viene consumata (prevalentemente al Nord) pena il rischio di sprecare una parte della produzione. È il compito che spetta a Terna, il gestore unico della rete elettrica nazionale, sulla base delle indicazioni del Pniec. Dal ministero si attendono segnali univoci sulla direzione da prendere.

PER TRIPLICARE LA PRODUZIONE DI ENERGIA eolica in 9 anni, la potenza media da installare ogni anno sarà pari a circa 1,5 GW all’anno, almeno il 40% in più di quanto previsto dal Pniec. Però, l’andamento delle potenze autorizzate negli ultimi anni ha toccato i minimi storici: dal 2016 al 2020 sono stati assegnati solo 1,6 GW. Le aste con cui vengono assegnate le potenze sono andate quasi deserte negli ultimi anni, con la punta più bassa registrata nel 2019. La crisi Covid non è tra le cause, che vanno ricercate semmai nella lunghezza degli iter autorizzativi. «I tempi di attesa in Italia sono in media di 5 anni e 4 mesi – ci dice Alexander Sorokin, consulente energetico internazionale – incompatibili con la velocità dello sviluppo della tecnologia, con il rischio concreto di vedersi autorizzare impianti che nel frattempo sono diventati obsoleti. E incomprensibili, perché la media nel Regno Unito o in Germania è di 2 anni». A tutti i progetti di campi eolici presentati dal 2017 al 2020 è stato negato il nulla-osta dalle Sovrintendenze.

NEGLI ULTIMI 12 MESI, PERO’, le richieste di autorizzazione per impianti eolici da parte degli investitori sono tornate ad arrivare numerose, segno di una rinnovata fiducia nelle potenzialità del vento che soffia sul Sud della penisola, nonostante tutto. E sono partiti i lavori di un nuovo cantiere eolico. Nella baia di Taranto, a 500 metri dalla costa, sta sorgendo il primo impianto eolico in mare (off-shore) del Mediterraneo. A fine agosto nel porto sono stati sbarcati i 10 pali di 4,5 metri di diametro, lunghi 70 metri, 300 tonnellate di acciaio ciascuno, prodotti da Haizea, azienda di Bilbao specializzata in strutture per le piattaforme off-shore, che verranno installati su fondamenta fisse dalla nave specializzata olandese Mpi Resolution. Monteranno turbine da 3 MW di MingYang Smart Energy, gruppo cinese che ha un contratto di manutenzione per 25 anni.

LA SOCIETA’ CHE HA SVILUPPATO IL PROGETTO è l’italiana Renexia, del gruppo Toto Holding, per un investimento di 80 milioni di euro. L’elettricità prodotta sarà venduta da Beleolico di Chieti. A regime nel 2022, il parco eolico potrà produrre 55.600 MWh all’anno, equivalente del fabbisogno di 18.500 utenze domestiche. Proprio di fronte all’Ilva di Taranto.

PERCHE’ SIA STATA SCELTA LA BAIA di Taranto lo chiediamo a Paolo Sammartino, direttore operativo di Renexia: «Questo è il primo progetto di parco eolico in mare ad essere realizzato in Italia, a fronte di una trentina di altre proposte che sono fallite. Conosciamo la complessità del nostro paese e la necessità di preservarne la bellezza. A Taranto siamo in un brownfield, un sito già toccato dall’antropizzazione, tra la raffineria Eni, un molo container e l’Ilva, con pochi indicatori di paesaggio. Inoltre, abbiamo scelto Taranto per dare una possibilità di decarbonizzare l’industria. Se l’Ilva volesse rifornirsi di energia pulita, potrà rivolgersi a Beleolico».

I PARCHI EOLICI OFF-SHORE sono considerati da tutti gli esperti la nuova frontiera dello sviluppo dell’energia rinnovabile: consentono di sfruttare venti più forti e regolari, non consumano suolo, se posizionati molto lontano dalla costa non hanno impatto visivo. Secondo l’Agenzia internazionale per l’energia (Iea) l’eolico off-shore potrebbe diventare la principale fonte di produzione di energia elettrica in Europa nell’arco di 20 anni.

NEL PNRR SONO CITATI NELLA MISSIONE «Rivoluzione verde e transizione ecologica / Promozione di impianti innovativi». In giugno il ministero della Transizione Ecologica ha lanciato una manifestazione d’interesse, rivolta a tutte le imprese in grado di proporre progetti di eolico galleggiante (ancorati solo con cavi, per permettere la loro installazione anche nei fondali profondi del Mediterraneo) «una tecnologia – si legge nella nota ministeriale – innovativa, suscettibile di accedere ai finanziamenti pubblici previsti» e successivamente ha istituito un tavolo tecnico ad hoc.

PER L’ITALIA «SARANNO UNA SCELTA OBBLIGATA – secondo Sorokin – perché gli impianti come quello di Taranto, che definirei near-shore, vicino alla costa, non si possono replicare: sono troppo visibili, disturbano il turismo, mentre per quelli realizzati a terra gli spazi cominciano a scarseggiare».

SECONDO UNO STUDIO REALIZZATO da Elemens per Anev, tra tutte le fonti rinnovabili, l’eolico è quello che in Italia avrebbe maggiori ricadute a parità di investimento, perché a livello territoriale sono presenti numerose aziende attive nelle forniture. «Le imprese italiane sono esportatrici di tecnologia, soprattutto nella componentistica delle turbine», sottolinea Simone Togni, presidente di Anev.

LE ASSOCIAZIONI AMBIENTALISTE Legambiente, Greenpeace e Kyoto Club hanno firmato con Anev il Manifesto per lo sviluppo dell’energia eolica off-shore in Italia, nel rispetto della tutela paesaggistica. In questo Manifesto si sottolinea che «oltre a contribuire alla produzione di energia rinnovabile per contrastare la crisi climatica, (i parchi eolici off-shore) comporteranno importanti ricadute anche in termini occupazionali… e di crescita del Pil… in particolare gli impianti di grossa taglia permetteranno di mitigare l’Lcoe (il costo livellato dell’energia) a beneficio delle economie di scala».

SE L’EOLICO IN MARE PUO’ ESSERE un’occasione di sviluppo industriale, questa però è mancata per l’impianto del golfo di Taranto. «Abbiamo cercato sul territorio italiano i manufatti, ma non li abbiamo trovati per tempistica e per qualità», ci ha detto Sammartino. Sarà di certo una questione di mercato. Però nel Maryland (Usa), dove Renexia sta sviluppando un parco eolico su fondamenta fisse nell’Atlantico, le autorità hanno imposto di creare una filiera per la fornitura dei materiali, facendo valere nel contratto la clausola del local-content requirement, cioè forniture da filiere locali.

«LI’ NOI SIAMO STATI OBBLIGATI A CREARE una manifattura che non c’era», spiega Sammartino. Un’altra questione per il tavolo del ministero. Una quota consistente dei nuovi progetti presentati al ministero riguardano l’eolico galleggiante, tecnologia da tempo sperimentata dal settore petrolifero, ma nuovissima per il settore energetico. Il primo campo eolico off-shore galleggiante del mondo è il Kincardine, collegato alla rete il 27 agosto a 15 km dalla costa di Aberdeen in Scozia, costituito da 5 turbine galleggianti da 9,5 MW di potenza, più del triplo di quelle di Taranto.

SEMPRE IN SCOZIA, IL CAMPO SPERIMENTALE HyWind è in funzione dal 2017 con 5 turbine da 6MW, sviluppato da Equinor, compagnia petrolifera norvegese specializzata nell’estrazione off-shore, che ha utilizzato il suo know-how a servizio dell’energia del vento, come l’italiana Saipem che ha eseguito il montaggio dell’impianto.

LA TECNOLOGIA E’ ORA MATURA PER ESSERE utilizzata anche nel Mediterraneo, che ha fondali molto più profondi dei mari del Nord: sempre Renexia ha presentato domanda per una concessione demaniale marittima per un campo eolico galleggiante nel Canale di Sicilia, posizionato a 62 km a ovest di Marsala e 27km dall’isola di Marettimo. Il campo avrà 190 aerogeneratori da 14,7 MW, per un totale di 2,8 GW di potenza che potranno produrre 8,4 TWh di elettricità all’anno, che corrisponde al 2,5% dei consumi elettrici nazionali. Le turbine saranno a 3,5 km di distanza le une dalle altre, su fondali profondi dai 100 ai 900 metri.

L’INVESTIMENTO PER INSTALLARLE e connetterle alla rete è stimato in 9,3 miliardi di euro. Se un campo eolico di queste dimensioni permetterà di spegnere 2 centrali a carbone come quella di Civitavecchia, il suo costo non è irrilevante. «Costa di più, non lo possiamo negare, costa 2,5 volte di più di un campo eolico on-shore – spiega Sammartini – però questa soluzione permette di evitare l’impatto visivo e noi che realizziamo anche impianti a terra sappiamo bene che in Italia le zone vocate per l’eolico cominciano a scarseggiare. Un impianto di queste dimensioni va valutato anche per la possibilità di creare occupazione stabile, dare impulso a filiere industriali, riconvertire i porti petroliferi della Sicilia».

FINORA LE REAZIONI DEL TERRITORIO al mega-progetto sono state tiepide. «Paghiamo lo scotto di essere i primi a sviluppare questa tecnologia nel Mediterraneo, ma possiamo contare sull’esperienza fatta nel Maryland dove abbiamo visto crescere la cultura dell’off-shore», spiega Sammartino.

UN ALTRO PROGETTO DI CAMPO EOLICO galleggiante è quello presentato dalla società milanese Iron Solar tra i 15,5 e i 22 km al largo delle coste di Brindisi, con 40 aerogeneratori da 14 MW. Più articolato il progetto di parco energetico marino ibrido Agnes presentato da Saipem a 18,5 km dalle coste di Ravenna, un sistema integrato dove a produrre energia saranno pannelli solari galleggianti e 65 pale eoliche a fondazione fissa (potenza installata 0,52 GW), con la possibilità di sfruttare l’energia per alimentare elettrolizzatori per produrre idrogeno verde da realizzare su piattaforme petrolifere dismesse. Per valutare le potenzialità di questo genere di impianti ibridi ha preso il via ai primi di settembre il progetto europeo Eu-Scores, che ha per capofila il Centro olandese per l’energia marina.