Fra il 15 e il 16 di agosto, nelle ore in cui i talebani completavano con l’ingresso a Kabul l’ascesa al potere in Afghanistan, le forze armate del vicino Uzbekistan hanno dovuto affrontare un’emergenza improvvisa e per alcuni versi assurda. Ventisei aerei e ventuno elicotteri dell’aviazione militare afghana, compresi cinque Black Hawk di produzione americana, hanno chiesto il via libera per atterrare allo scalo strategico di Termez, un centinaio di chilometri a nord di Mazar-i-Sharif, oltre il fiume Amu Darya, che segna il confine fra i due paesi.

IL GOVERNO UZBEKO si aspettava l’arrivo in massa di rifugiati e profughi, e in effetti negli ultimi giorni oltre mille e cinquecento si sono messi in salvo seguendo quella rotta. Mai avrebbero immaginato di trovarsi nel loro avamposto una parte consistente della flotta afghana, che secondo stime qualificate poteva contare sino alla scorsa settimana su 160 aerei, un terzo dei quali non più in grado di volare.
L’ultima delle versioni circolate in questi giorni parla di un trasferimento da tempo nei piani per evitare che i mezzi finissero ai talebani, come accaduto alla grande maggioranza delle forniture dei paesi Nato, tanto che oggi a Kabul non è raro vedere i miliziani in strada con i kit da combattimento delle forze speciali americane.

IL PROBLEMA È CHE A TERMEZ assieme ad aerei ed elicotteri sono sbarcati anche seicento soldati. Tutti hanno chiesto assistenza umanitaria. In teoria sarebbero dovuti rimanere in patria per combattere: hanno preferito cercare rifugio in Uzbekistan, come ha fatto l’ex presidente, Ashraf Ghani, che ha ricevuto, poi, asilo negli Emirati arabi.
I dettagli di questa disgraziata fuga ha dovuto commentarli ufficialmente la Procura generale uzbeka, che avrebbe altrimenti scelto la strada del riserbo, non fosse che uno degli aerei, un Embraer Super Tucano, è caduto a terra per una manovra sbagliata a pochi chilometri dalla pista. All’inizio pareva che l’Embraer fosse stato abbattuto. La Procura è intervenuta proprio per smentire la circostanza.
Termez, come detto, è un punto strategico negli equilibri militari della regione. La città è costruita al limite più meridionale dell’Uzbekistan, sulla sponda nord dell’Amu Darya, ed è arrivata a ospitare sino a centomila uomini durante l’invasione sovietica dell’Afghanistan.

A PARTIRE DAL 2003 l’esercito tedesco ha ottenuto il permesso di usare l’aeroporto militare come appoggio per le operazioni anti terrorismo, grazie anche ai buoni uffici della Russia, che è legato all’Uzbekistan da un accordo di mutua difesa. Il governo di Tashkent ha ottenuto in cambio 35 milioni di euro all’anno.
Sulla base di questo contratto la Germania è stata per più di dieci anni l’unico paese della Nato in grado di muovere truppe sul territorio uzbeko. La collaborazione si è interrotta nel 2015 di fronte alle richieste degli ospiti, che volevano portare il compenso oltre i settanta milioni.

A quel punto l’Uzbekistan è tornato a essere un affare per i soli russi. Il confine fra l’Afghanistan e l’Uzbekistan è lungo centocinquanta chilometri. Quello con il Tajikistan quasi mille e cinquecento. Ed è lungo questa striscia di terra bagnata da un fiume leggendario che è concentrata adesso l’attenzione del Cremlino. Il presidente russo, Vladimir Putin, ha avuto in settimana un lungo contatto telefonico sulla situazione a Kabul con il leader tagiko, Emomali Rahmon, prima ancora di parlare con qualunque collega europeo.

LA NAZIONE CENTROASIATICA, culturalmente legata all’Iran, è già stata al centro di pericolose infiltrazioni talebane. Nel paese la scorsa settimana si sono concluse esercitazioni che hanno coinvolto russi e uzbeki: «Abbiamo mostrato loro tecniche apprese nella guerra in Siria», ha detto il generale Alexander Lapin, che comanda il distretto centrale delle forze armate russe. Proprio a Dushanbe Rahmon presiederà i prossimi vertici di Csto e Sco, le due organizzazioni militari di cui Russia, Uzbekistan e Tajikistan fanno parte.