«Parlare agli uomini il linguaggio di tutti gli uomini e parlare loro attraverso un linguaggio nuovo, infinitamente ricercato e semplice come il pane della vita quotidiana, nessun poeta, prima di Éluard, l’aveva fatto tanto naturalmente». Così André Pieyre de Mandiargues presentava la raccolta poetica Capitale de la douleur, affiancata a L’amour la poésie, dedicata alla prima moglie Gala, conosciuta in un sanatorio svizzero. Si trattava del numero inaugurale della fortunata collana di tascabili «Poésie» di Gallimard, pubblicato nel 1966, quasi ad attestare la notorietà del poeta nato a Saint-Denis nel 1895 e scomparso a Charenton-le-Pont nel 1952. L’edizione originale di Capitale de la douleur uscì quarant’anni prima presso le Éditions de la Nouvelle Revue Française che facevano capo allo stesso Gallimard.

Ci troviamo nell’entre deux guerres, in piena temperie surrealista, sul sottile discrimine che separa il periodo contrassegnato dall’infatuazione collettiva per la scrittura medianica e la successiva svolta ideologica imposta da Breton, sfociante nell’espulsione di alcuni esponenti di spicco del movimento come Artaud e Soupault. Il cambio di registro avvenne qualche anno più tardi con la trasformazione della rivista «La Révolution surréaliste» in «Le Surréalisme au service de la révolution», il cui programma risultava evidente sin dal titolo. Il proposito era quello di coniugare le istanze vitalistiche rimbaldiane con il retaggio del materialismo dialettico. Fu proprio sul versante ideologico tuttavia che gli intenti di Breton ed Éluard si scontrarono dopo un’amicizia spesa in prima linea fin dai tempi dell’entusiastica adesione ai precetti dadaisti e alla collaborazione a «Littérature», nonché alla stesura a quattro mani di Notes sur la poésie, L’immaculée conception e Ralentir travaux, quest’ultimo redatto insieme a Char. Éluard, alla pari di Aragon, aderì alla linea del Partito Comunista, i cui funzionari consideravano con estremo scetticismo le teorie eccentriche dei surrealisti.

Ora le Edizioni Robin propongono Capitale del dolore («Biblioteca del Vascello», pp. 200, € 18,00), con testo originale a fronte, nella valida traduzione di Stefano Serri. Si tratta di una raccolta che alterna versi e prose composti tra il 1919 e il 1926 e che si può suddividere in tre parti: Répétitions, originariamente pubblicata nel ’21 da Au sans pareil con illustrazioni di Max Ernst; Mourir de ne pas mourir, edita nel ’24 nelle Éditions de la N.R.F.; Nouveaux poèmes che accoglieva testi già presenti in Les Nécessités de la vie et les consequences des rêves (’21) e Au défaut du silence (’24), ma che per la maggior parte risultavano inediti. Già da queste essenziali indicazioni è possibile comprendere come l’iter bibliografico di Éluard sia molto articolato, considerato che la sua produzione annovera un numero impressionante di pubblicazioni. È sufficiente d’altronde consultare la bibliografia allestita nei due volumi delle Œuvres complètes, edite a cura di Marcelle Dumas e Lucien Scheler nella «Pléiade» Gallimard, per rendersi conto dell’estrema complessità di tale percorso che, dalle prime opere stampate con il vero nome Paul Eugène Grindel, approda ai contributi apparsi postumi.

Pur essendo uno dei grandi chierici del surrealismo, Éluard si può considerare un poeta che si contraddistingue per la sua autonomia rispetto al dogmatismo, non solo ideologico, imposto da Breton. Si pensi al distacco manifestato nei confronti dell’écriture automatique, pratica in cui eccellevano Desnos e Crevel, e al recupero di quella dimensione lirica che veniva chiaramente avversata dai teorici più oltranzisti del movimento, fautori di uno sperimentalismo che dai cadavres exquis conduceva ai poèmes-object. Risulta emblematico al riguardo il concetto ossimorico di Poèsie involontaire et poésie intentionelle, come si intitola una scelta antologica da vari autori data alle stampe nel 1942. In un passaggio della premessa si legge: «La poesia involontaria, per quanto facile, approssimativa e rozza possa apparire, è fatta di relazione tra la vita e il mondo, tra il sogno e l’amore, l’amore e la necessità. Suscitatrice delle nostre emozioni, dà essa al nostro sangue la leggerezza del fuoco».

Il ricorso a tale immediatezza espressiva, a tale facilità (felicità) invisa agli altri surrealisti (Facile si intitola emblematicamente una raccolta poetica del 1935, illustrata da fotografie di Man Ray) costituisce una delle formule che caratterizzano questa poetica, basata su elementi naturali che ricorrono in tutta la produzione éluardiana, trovando parecchie analogie con i frottages di Histoire naturelle, licenziati da Max Ernst nello stesso 1926. Un’opera provvisoria dunque, in continua evoluzione, tesa al jeu de mots e alla reinvenzione dei nessi sintattici. Paradigmatica la lirica il cui capoverso è Ta chevelure d’oranges dans le vide du monde, da molti conosciuta attraverso la storica versione di Fortini che, nella sua antologia einaudiana, fornisce solo qualche assaggio da Capitale del dolore (da citare anche la traduzione quasimodiana di Donner à voir, apparsa postuma nello «Specchio» mondadoriano, 1970).

Non di rado l’empito visionario, associato al trasporto amoroso (fino al 1929 riconducibile a Gala, poi a Nusch), sembra circoscritto all’opera di frammentazione compiuta sulle immagini, derivante dalla proliferazione di nuovi metodi espressivi che si sviluppa nei primi decenni del secolo.

Si prenda ad esempio il Nudo che scende le scale n. 2 di Duchamp, rifiutato al Salon del 1912, che rappresenta la stessa immagine rifratta attraverso i frammenti di vetro di uno specchio infranto. Nonostante la figura iconoclasta di Duchamp sia maggiormente riconducibile alla poetica del désordre formel concepita da Desnos in Corps et biens (1930), ben esemplificata da Rrose Sélavy, il rapporto con la nuova sensibilità espressiva è quanto mai presente nell’evoluzione creativa di Éluard che fu, tra l’altro, uno dei primi collezionisti di arte primitiva (alle pagg. 74-75 dell’Album Éluard sono riprodotte una statuetta oceanica di sua proprietà e la copertina del catalogo Sculptures d’Afrique, d’Amérique, d’Océanie relativo alle collezioni Breton ed Éluard messe all’asta presso l’Hôtel Drouot nel luglio 1931). Alcune poesie della raccolta si intitolano con i nomi degli artisti frequentati: Max Ernst, Giorgio De Chirico, Pablo Picasso, André Masson, Paul Klee, Georges Braque, Arp, Joan Miró. Sintomatica è la collaborazione con alcuni di questi pittori, vòlta a realizzare libri d’arte o plaquettes numerate (cfr. il leporello postumo Liberté, j’écris ton nom, illustrato da Léger) che hanno segnato un’epoca; Max Ernst arriverà a condividere con Éluard lo stesso tetto, nonché la smodata passione per Gala prima della fuga di quest’ultima tra le braccia di Dalí, assertore del metodo paranoico-critico. Il nome di quest’ultimo verrà in seguito anagrammato da Breton in Avida Dollars. Gli stessi interventi esegetici di Éluard hanno una loro indiscutibile pregnanza: si confronti l’Antologia degli scritti sull’arte, stampata dagli Editori Riuniti nel 1973.

Il titolo originario di questo «livre inépuisable» (Parrot) doveva essere L’arte di essere infelice, ricavato da un passaggio in prosa di L’invention in cui, per contrasto, si nomina l’«arte di gioire», che rappresenta una fin troppo scoperta parodia dell’Arte di essere nonno di Victor Hugo. Ma l’autore lo scartò in quanto troppo esplicito, optando per un titolo che avesse evidenti richiami polisemici, in linea con la poetica surrealista e che rimandasse soprattutto a Baudelaire e alle Fleurs du Mal. Asserisce Serri nella sua postfazione che, oltre al numero di componimenti accolti, «i due libri sono simili anche nei titoli, dalla scelta dei termini alla loro giustapposizione, al suono stesso (fiori/dolore, male/capitale)». Alcune di queste poesie vennero musicate da Francis Poulenc che tornò a più riprese a misurarsi con i testi di Éluard, conosciuto nel 1919 presso la Maison des amis des livres, la mitica libreria di Adrienne Monnier che si trovava al n. 7 di rue de l’Odéon, nel Quartiere Latino. Poulenc ricavò un congruo numero di composizioni ispirate a versi di Éluard, tra cui la partitura dei Cinq poèmes d’Éluard (1935) e Sept chansons (1936).