L’attacco sistematico, cinico, da parte del governo Meloni alle Ong che si occupano di salvare i migranti nel mar Mediterraneo, è paragonabile ad un divieto di soccorso su un’autostrada a persone coinvolte in incidenti stradali. Se ci fosse un tale divieto, se in nome della «sicurezza» ci fosse impedito di fermare la nostra auto e scendere per prestare aiuto, riterremmo queste disposizioni di legge come un crimine. A maggior ragione, per i numeri coinvolti, questo boicottaggio delle Ong nell’opera di soccorso in mare è una dichiarazione di guerra.

E non è un fatto isolato, la strategia politica di un governo dove è forte la componente neofascista. Questo attacco è stato preceduto dal governo Gentiloni di centro-sinistra che ha affidato al ministro Minniti il compito di controllare le Ong, di mettere una serie di vincoli nei loro spostamenti e nelle operazioni di soccorso. Una mossa astuta e subdola che partì dalla richiesta di sottoscrivere delle regole a cui attenersi che consentissero un controllo di queste navi «anarchiche» che si permettevano di soccorrere in mare ad libitum chi stava annegando, e magari organizzavano loro i viaggi della speranza dei migranti dalla costa libica. Una accusa infamante.

D’altra parte, un anno dopo partiva l’attacco a Mimmo Lucano a Riace, con una ispezione ad hoc richiesta dal Ministero dell’Interno, inaugurando la criminalizzazione di questa esperienza di solidarietà e l’assurda condanna di Lucano a tredici anni di galera. Insomma, in Italia centro-sinistra e destra non si sono di molto differenziati nella persecuzione delle Ong, così come non lo sono sulla corsa agli armamenti e la partecipazione, di fatto, a questa guerra in atto in Ucraina. Purtroppo, questo è avvenuto anche a livello internazionale.

Nel 1992 l’Eritrea usciva da una sanguinosa guerra per l’Indipendenza guidata da Isaias Afewerki, leader del Fronte di Liberazione del Popolo Eritreo. Chi scrive ha avuto la fortuna di vivere quei momenti, la felicità di un popolo che usciva da un tunnel di violenze e privazioni che ogni guerra provoca, la libertà e l’indipendenza finalmente conquistate. Diverse Ong italiane ed europee dettero il loro contributo per la rinascita di questo splendido paese. Una di queste, il Centro Regionale d’Intervento per la Cooperazione, costruì a Keren un intero ospedale e inviò un equipe di medici chirurgici plastici per recuperare in qualche modo i volti e le braccia delle persone colpite dal naphalm, formando una vera e propria scuola di chirurgia plastica per gli aspiranti medici locali. Una delle tante iniziative di cooperazione popolare di cui poco si conosce.

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Tutto andò bene per i primi anni finché Afewerki non cominciò a espellere una Ong dopo l’altra, iniziando da quelle che si occupavano di diritti umani. Alla fine degli anni ’90 non era rimasta nessuna Ong internazionale in Eritrea, e il paese è precipitato in uno stato di terrore e miseria peggiore di quella che aveva vissuto sotto Menghistu.

Ancora di più in Nicaragua, dopo la cacciata del dittatore Somoza nel 1979 , accorsero volontari e cooperanti delle Ong da tutto l’Occidente per sostenere il Fronte Sandinista di Liberazione Nazionale. Quella che fu definita «la rivoluzione dei poeti» attirò le simpatie di una intera generazione di sinistra in Europa e Nord-America per tutti gli anni ’80 del secolo scorso. Nessuno poteva immaginare che uno dei leader del movimento rivoluzionario, Daniel Ortega, si trasformasse in un dittatore che fa sparare su studenti e lavoratori e che ha cacciato tutte le Ong che da più di vent’anni lavoravano per lo sviluppo del paese, dalla scuola alla sanità, dall’agricoltura al sostegno alle attività artistiche e culturali.

La guerra alle Ong è chiaramente un fatto scontato per tutte le dittature, che colpiscono anche le strutture sanitarie, come quelle di Emergy, MSF, ecc, che sono indispensabili alle popolazioni locali. Ma, anche nelle «democrature», come in Ungheria, in Turchia o nell’Egitto del golpista Al-Sisile Ong sono perseguitate, e sono tollerate solo quelle che portano investimenti per l’economia, ma rimangono silenti sul piano dei diritti civili, sociali e politici.

Adesso, se anche un paese democratico come è ancora l’Italia, si è avviato su questa strada c’è da preoccuparsi seriamente. E dovrebbero preoccuparsi e agire anche le cosiddette Ong di cooperazione allo sviluppo, che sbagliano se pensano che loro resteranno fuori da questa strategia. Così come è sbagliato sottovalutare questa guerra alle navi di soccorso delle Ong : è solo la punta di un iceberg, uno dei segnali della deriva autoritaria del capitalismo neoliberista che si manifesta sempre più chiaramente in tutto il mondo.