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Dramma in Portogallo, il sistema ospedaliero rischia di non farcela

Dramma in Portogallo, il sistema ospedaliero rischia di non farcelaL’ospedale militare di Lisbona – Ap

Covid In un mese quadruplicati i decessi, crescono i ricoveri e le terapie intensive, un terzo delle persone pare sia stato contagiato dal ceppo inglese, per arrivare quasi al 50% a Lisbona. Il Paese, tornato al lockdown duro, chiude i confini

Pubblicato più di 3 anni faEdizione del 2 febbraio 2021

I dati dei morti per Covid-19 in Portogallo sono schizzati a livelli oramai fuori controllo. Solo ieri sono stati 275, un po’ meno rispetto agli ultimi giorni, ma è pur sempre un dato molto elevato tenendo in considerazione il fatto che gli abitanti della antica Lusitania sono appena dieci milioni. In proporzione è come se in Italia fossero morte 1.650 persone in un solo giorno e che ciò stesse accadendo da qualche settimana. Sono numeri drammatici, anche perché diventa sempre più difficile trovare posti in terapia intensiva per chi si ammala. Fuori dagli ospedali le file delle ambulanze si allungano sempre di più e l’ipotesi di dovere chiedere l’aiuto a ospedali stranieri diventa sempre più concreta.

LA BOMBA È ESPLOSA all’improvviso. A metà gennaio ci si è resi conto che non era più possibile fare finta di niente. Già perché la vita nel piccolo paese iberico era, comparativamente con altre zone fuori e dentro il continente, tutto sommato quasi normale. Certo la mascherina, ma insomma la circolazione era permessa in tutto il territorio. Le palestre, pur con restrizioni, erano aperte, locali e ristoranti frequentati. Così fino a capodanno, poi tutto repentinamente è cambiato. A metà gennaio è tornato il confinamento quello duro e puro, come nella primavera scorsa o quasi, unica eccezione le scuole, che in un primo momento erano state tenute aperte ma poi anche lì si è dovuto fare rapidamente marcia indietro.

DIFFICILE TROVARE una spiegazione univoca e convincente per quanto stia accadendo e il governo guidato dal socialista António Costa rischia di essere travolto dalle polemiche. Certo le misure di contenimento sono state poche.

I viaggi interni verso le città di origine durante le vacanze hanno spostato i focolai dai grandi centri urbani a quelli più piccoli meno densamente popolati. E poi le nuove varianti del virus molto più virulente delle altre. I dati della direzione generale della salute rivelano come negli ultimi giorni sembrerebbe che un terzo delle persone sia stato contagiato dal ceppo inglese, per arrivare quasi al 50% a Lisbona.

76 MORTI IL 31 DICEMBRE, 303 il 31 gennaio, ovvero quadruplicati i casi in appena un mese. 1.500 nuovi contagiati il 27 dicembre, 16 mila il 28 gennaio e il sistema ospedaliero completamente in tilt. I dati di ieri mostrano una diminuzione dei nuovi casi, «appena» 6.000, il più basso negli ultimi 21 giorni, segno che il confinamento sta producendo risultati. Purtroppo, e forse sono questi i numeri che contano davvero, continuano a crescere le persone ricoverate e quelle in terapia intensiva.

COME ERA SUCCESSO nella primavera scorsa anche questa volta i confini sono stati chiusi, anche se in forma decisamente più blanda. Fino al 14 febbraio si può uscire solo per ragioni di lavoro, d’urgenza o per tornare nel luogo della propria residenza. E chi arriva in Portogallo deve poter mostrare il test negativo del tampone, altrimenti il test glielo fanno fare all’aeroporto e si deve aspettare lì il risultato.

Il neo-rieletto presidente della repubblica Marcelo Rebelo de Sousa ha lasciato intendere che lo stato d’emergenza, rafforzato appena pochi giorni fa e che permette l’adozione di misure straordinarie di limitazione della libertà da parte dell’esecutivo, potrebbe essere prolungato addirittura fino all’estate.

FIN QUI LE STATISTICHE e poi ci sono le persone che in una situazione del genere rischiano di scomparire triturate dai numeri e da quello che i giornali chiamano fatiga pandemica. Stanchezza pandemica, una sorta di assuefazione a tutto, morte e dolore, che porta a fare finta di niente, perché in fondo dopo un anno che si è dentro a una tragedia del genere non ce la si fa più. Eppure quando è morto Carlos Antunes, oppositore del regime salazarista, è un po’ come se molti si fossero dovuti ricordare che no, il Covid non è qualche cosa di più di un semplice raffreddore e di come sia facile esserne colpiti. Basta una cena a Natale. Forse una mascherina messa male. Isabel do Carmo, sua ex compagna, medico e anche lei oppositrice del regime, non se lo sa spiegare come sia successo, ma quella sera sono rimasti tutti contagiati. Lui è morto, Isabel do Carmo è stata all’ospedale per un bel po’ e poi è guarita.

Ecco ciò che sorprende è la pervasività anche in momenti tanto intimi che tutti, più o meno, hanno dato per scontato fossero protetti. Passano i mesi, si abbassa la guardia e ci si espone, inconsapevolmente, pensando che no, a noi non può succedere perché in fondo è solo una cena e non si può morire per una cena tra vecchi compagni di lotta.

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