La guerra degli Stati uniti, che «restano indispensabili», e quella dell’Unione europea sono state sin qui la stessa cosa. Lo sono ancora ma potrebbero non esserlo più in un futuro prossimo. Mario Draghi, nella conferenza stampa da Washington, lo fa capire, a tratti quasi lo dice chiaramente pur con toni fraterni. «La Ue è l’alleata degli Usa», ribadisce il premier italiano. Però sul terreno di guerra «le cose stanno cambiando» e un qualche rischio di «divaricazione» c’è. Divaricata, per esempio, è di certo la posizione sulla proposta americana di disertare il G20 se ci sarà la Russia. Il premier italiano boccia l’ipotesi: perché gli altri Paesi resterebbero e non si può certo lasciare la Russia senza i Paesi del G7 ma con tutto il resto del mondo. E sul pagamento in rubli l’Italia è ben lontana dalla linea rigidissima di Washington.

LA PROSPETTIVA di Draghi, in veste di rappresentante dell’Italia ma si direbbe dal tono anche dell’Unione europea, è diversa da quella fatta sin qui trasparire dall’amministrazione di Washington, anche se su questa linea, assicura Draghi, concorda ora anche Joe Biden: «Bisogna continuare a sostenere l’Ucraina e a fare pressione su Mosca, però bisogna anche cominciare a parlare di pace». Armi e sanzioni, certo, ma anche quella diplomazia che sin qui è rimasta latitante. Non è una missione semplice, anzi, ma «il primo punto è come costruire questo percorso negoziale». A rendere possibile oggi quel che non lo era o quasi all’inizio del conflitto è la situazione militare: «Si pensava che ci fossero una David e un Golia invincibile. Il quadro si è rovesciato e non c’è più un Golia». Dunque quel Putin che aveva detto proprio al premier italiano che non era ancora tempo di trattare, nell’aspettativa di una schiacciante vittoria militare, non ha più ragione di aspettare.

LA DIFFICOLTÀ È certamente doppia, forse tripla. Dovrebbero essere chiari gli obiettivi della Russia e non lo sono affatto. La pace poi «non può essere imposta all’Ucraina: sarebbe un disastro». È Zelensky che deve decidere «cosa sia per lui una vittoria». Se non è proprio come dire che sta al leader ucraino dettare le condizioni ci va molto vicino. L’accento sulla decisionalità assegnata a Kiev è anche un modo per frenare l’impeto bellicoso degli Stati uniti, la cui strategia è in realtà la terza incognita. Ma soprattutto l’insistenza con la quale Draghi ripete più volte che ogni decisione spetta a Zelensky sembra mirata a rassicurare gli ucraini tra i quali, fa intendere l’ospite italiano, serpeggia un po’ il sospetto che Usa, Russia e Ue possano concludere un accordo sulla loro testa. Non succederà, ripete Mario Draghi e corregge in corner la mezza gaffe commessa parlando di necessaria intesa «tra Usa e Russia»: «Volevo dire che al tavolo devono essere seduti tutti ma una pace non accettata dall’Ucraina non potrebbe reggere».

SUL COME «PORTARE tutti al tavolo» Draghi non si sbottona e probabilmente non lo sa ma una via indiretta potrebbe essere quella che lui stesso indica come forse la principale emergenza affrontata durante il colloquio nella sala ovale, la crisi alimentare. Milioni di persone rischiano la fame, senza contare lo tsunami migratorio che ne conseguirebbe. L’origine principale, pur se non unica, è la penuria di grano ucraino: non arriva dato che i porti sono chiusi. «Sbloccare i porti» è dunque l’urgenza assoluta. In concreto vuol dire togliere dalle acque le mine poste per impedire lo sbarco russo e permettere alle navi ucraine di salpare. Entrambe le parti dovrebbero dunque cedere qualcosa. Oltre che a salvare milioni di persone dalla carestia sarebbe anche un passaggio più utile e prezioso, sulla via della trattative, di mille dichiarazioni o incontri a vuoto.

SUL FRONTE DELL’ENERGIA i due capi di governo concordano alla lettera. Diagnosi comune, ricetta per ora assente. Sia gli Usa che l’Italia giurano di non voler arretrare sulla transizione ecologica: vuol dire aumentare al massimo gli investimenti sulle rinnovabili e se serviranno altre semplificazioni sulle autorizzazioni arriveranno. Il presidente Usa Biden ritiene come Draghi che porre un tetto sul prezzo dell’energia sia giusto e necessario. Ma per gli Stati uniti quel che importa è quello del petrolio, per l’Italia, come per molti Paesi Ue, quello del gas. Sul tetto, però, nell’Unione europea non c’è accordo: si vedrà alla prossima riunione del consiglio.

INTESA PERFETTA anche sulla necessità di rivedere la formazione dei prezzi dell’energia, all’origine di una crisi che era già esplosa prima della guerra, ma sul come e quando non ci sono indicazioni. Su tutti i fronti, insomma, i colloqui di Washington registrano passetti avanti. Ma timidissimi.