L’ultima volta di Angela Merkel da cancelliera a Roma, in visita ufficiale, comincia al mattino in Vaticano, in udienza da papa Bergoglio. Poi incontra Mario Draghi, col quale si intrattiene anche a pranzo. Nel pomeriggio, Merkel partecipa all’evento attorno al quale è stata costruita la sua missione romana: l’incontro di preghiera per la pace al Colosseo organizzato dalla Comunità di Sant’Egidio.

C’è una lettura, favorevole a Draghi, che considera l’incontro di metà giornata con la cancelliera uscente come un simbolico passaggio di testimone sui temi dell’europeismo e della maggiore integrazione tra i paesi Ue. «La cancelliera è stata una campionessa del multilateralismo – dice il presidente del consiglio – quando altri paesi si schieravano per il protezionismo e l’isolazionismo». Merkel al termine del colloquio a Palazzo Chigi, fornisce la sua visione articolata, quando non prudente, sul rapporto tra Unione e sovranità nazionali: «Mutualizzare le finanze semplicemente e togliere la sovranità ai singoli stati non riuscirà. Le cose vanno finanziate, le responsabilità devono rimanere negli Stati membri e lì vanno finanziati». «Abbiamo dei sistemi fiscali molto diversi, dobbiamo tenere conto di queste differente – dice ancora a proposito della condivisione de rischi dei debiti nazionali – L’unione bancaria non è ancora completata. C’è molto lavoro da fare su questo. Abbiamo già meccanismi di solidarietà, abbiamo l’Esm, e abbiamo avuto eventi assolutamente eccezionali». Il riferimento è al Recovery Fund. Rispetto al quale Merkel dice di apprezzare il lavoro fatto dal governo Draghi: «Ha presentato un ottimo piano italiano e siamo più che sicuri che questi soldi vengano spesi molto bene per fare bene alla popolazione italiana».

Dalla Farnesina, Luigi Di Maio si spinge a sostenere che l’incontro tra Merkel e Draghi «segna il passaggio di testimone per la leadership in Europa», evento «impensabile fino a gennaio dello scorso anno: poi qualcuno ha fatto in modo che accadesse». In realtà, Merkel riconosce all’ex presidente della Bce la sua funzione di «garante dell’euro». Ma si guarda bene dal ridimensionare il suo paese: «L’Italia resterà l’Italia, la Germania resterà la Germania – spiega – Ognuno rappresenterà il proprio paese. Noi siamo una grande economia, la più grande dell’Unione europea. Dalla nostra voce dipendono un po’ di cose». Che ha auspicato che la collaborazione tra Italia e Germania continui e si rafforzi anche con il prossimo governo, soprattutto su temi come ambiente, energia e Libia, dossier nel quale l’Italia è «particolarmente coinvolta». «Abbiamo parlato delle implicazioni per l’Europa della nuova politica estera americana – specifica Draghi – E ci siamo detti d’accordo sulla necessita di accelerare nei processi di costruzione di una politica estera e di una difesa europea». Di Libia, fa sapere il premier, si parlerà ancora il prossimo 12 novembre alla Conferenza di Parigi, insieme anche alla Francia.

Dalla Germania, intanto, pare che la «coalizione semaforo» della Spd insieme a Verdi e liberali stia davvero per decollare. «Dopo i colloqui bilaterali con gli altri partiti, abbiamo deciso di proporre ai socialdemocratici e ai liberali di andare avanti insieme», ha annunciato la portavoce dei Verdi Annalena Baerbock. Pungolata dai giornalisti, Merkel si limita a commentare: «Stavolta le trattative andranno molto più velocemente rispetto all’ultimo governo».

In Vaticano, la cancelliera ha discusso della conferenza per il clima di Glasgow, oltre che di migrazioni e pandemia. Temi che sono ritornati nelle parole che il papa ha pronunciato in serata al Colosseo, alla presenza del Grande Imam di Al Azhar: «Siamo chiamati, come rappresentanti delle religioni, a non cedere alle lusinghe del potere mondano – ha detto Bergoglio – ma a farci voce di chi non ha voce, sostegno dei sofferenti, avvocati degli oppressi, delle vittime dell’odio, scartate dagli uomini in terra ma preziose davanti a colui che abita i cieli. Oggi hanno timore, perché in troppe parti del mondo, anziché prevalere il dialogo e la cooperazione, riprende forza il confronto militare come strumento decisivo per imporsi».