La decisione della Corte di Cassazione (sentenza n. 4557 del 1 febbraio 2024) sul caso Asso 28 conferma la condanna, in relazione al delitto di abbandono in stato di pericolo di persone minori e incapaci (articolo 591 del codice penale).

E per abbandono arbitrario di persone (art. 1155 del Codice della navigazione), stabilita in precedenza dal Tribunale e dalla Corte di Appello di Napoli, a carico del comandante di un rimorchiatore di proprietà della società “Augusta offshore”, a servizio alla piattaforma petrolifera di Sabratha, gestita dall’ente libico Noc e dall’Eni che nel 2018, a seguito di un soccorso di naufraghi in acque internazionali, li aveva consegnati ad una motovedetta libica, dopo averli ricondotti nelle acque antistanti il porto di Tripoli.

L’operazione Sar (di ricerca e salvataggio), a cinquantasette miglia dalla costa libica, nella zona Sar autoproclamata un mese prima dal governo provvisorio di Tripoli, almeno nelle fasi iniziali, non era stata coordinata né dalle autorità libiche, né dalla Centrale della Guardia costiera italiana (Imrcc), che pure dopo avere avuto notizia del caso di distress, indicava come autorità competente la Guardia costiera libica. Come del resto si verifica ancora oggi.

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Il comandante avrebbe dunque deciso, su indicazione di un agente “doganale” di servizio sulla piattaforma e poi imbarcato a bordo, di fare rotta verso un porto libico. Secondo la Corte di Cassazione, riconducendo a Tripoli centouno naufraghi, facendoli trasbordare, solo una volta innanzi al porto tripolino, su una motovedetta libica, «procurava agli stessi migranti un danno grave, consistente nel loro respingimento collettivo, quale condotta vietata dalle convenzioni internazionali».

Si tratta di una sentenza importante che impone di riconsiderare il Memorandum d’intesa con il governo di Tripoli, e la conseguente istituzione di una zona Sar, di ricerca e salvataggio, “libica”.

La sentenza si riferisce ad una nave battente bandiera italiana, circostanza che rende più agevole l’individuazione della giurisdizione competente, ma secondo i criteri enunciati dalla Cassazione, anche se si fosse trattato di navi battenti bandiera diversa da quella italiana, il respingimento collettivo in Libia sarebbe stato comunque illegale, in quanto la Libia non poteva comunque garantire un porto di sbarco sicuro.

Secondo la sentenza della Cassazione, che richiama le precedenti sentenze di Tribunale e della Corte di Appello, in quel periodo, non esisteva uno Stato unitario “libico” e le autorità di Tripoli, pur se riconosciute dalle Nazioni unite, non risultavano in grado di controllare l’intero territorio nazionale.

Infatti, nonostante la notifica (unilaterale) della istituzione della zona Sar libica all’Imo, la stessa non era operativa, non esisteva uno stato libico unitario e le autorità di Tripoli – riconosciute dalle Nazioni unite – avevano perso il controllo di parti molto vaste del territorio nazionale. Ancora oggi la Libia nelle sue diverse articolazioni politiche non aderisce alla Convenzione di Ginevra del 1951. Al di là delle peculiarità del caso Asso 28, questi passaggi della sentenza si possono richiamare nella valutazione di casi più recenti come il caso Open Arms del 2019, sul quale è in corso un procedimento penale a Palermo.

Al centro dei processi ancora pendenti sui soccorsi in acque internazionali, nel Mediterraneo centrale, e nella comunicazione tossica che li circonda, c’è infatti il riconoscimento di una presunta competenza esclusiva delle autorità libiche nella gestione della zona Sar da loro autoproclamata nel 2018 e la considerazione della Libia come uno Stato unitario, con autorità unificate di coordinamento dei soccorsi in mare (Jrcc).

Sono circostanze smentite dai fatti, ed adesso dalla Cassazione nel caso Asso 28, ma ancora oggi gravemente travisate nei casi di eventi di soccorso per i quali le autorità italiane continuano ad indicare la competenza della sedicente Guardia costiera “libica” e tendono a criminalizzare i cd, soccorsi “in autonomia”.

In base alla Convenzione Solas sui soccorsi in mare, qualunque comandante ha invece l’obbligo di avvisare le autorità competenti, ma anche di soccorrere tutti i naufraghi di cui abbia notizia, senza dovere attendere autorizzazioni, o interventi di unità degli Stati costieri, che potrebbero costare la vita di molte persone.

Adesso occorre fare chiarezza sulla residua validità del Memorandum d’intesa Gentiloni-Minniti del 2017. In base all’articolo 53 della Convenzione di Vienna sul diritto dei trattati, è nullo qualsiasi trattato che, al momento della sua conclusione, sia in contrasto con una norma imperativa di diritto internazionale generale; ed incompatibile con l’art. 10 della Costituzione, secondo cui l’ordinamento italiano si conforma alle norme di diritto internazionale generalmente riconosciute, tra le quali rientra ormai anche il principio di non respingimento stabilito dall’articolo 33 della Convenzione di Ginevra.