È una mappa densa di mobilitazioni quella che annuncia il quarto sciopero globale per il clima indetto dal movimento dei Fridays For Future (Fff). Giovani e studenti scenderanno in piazza in 130 paesi in tutto il mondo. Dall’Islanda all’Antartide, dall’Alaska alla Nuova Zelanda, dall’Argentina all’India, dal Giappone alla maggioranza dei paesi africani, passando per le tantissime proteste organizzate in Europa. In Italia le manifestazioni invaderanno le strade di oltre 100 città. «Eravamo in piazza il 15 marzo in più di 2 milioni. Ci siamo tornati il 24 maggio raggiungendo 130 paesi – scrivono i Fff italiani nel comunicato di lancio della giornata – Durante la Climate Action Week, tra il 20 e il 27 settembre 2019, hanno scioperato 7,6 milioni di studenti, famiglie, lavoratori. Tutto questo non è bastato: le emissioni di Co2 nel 2019 non accennano a diminuire. Ecco perché torneremo in piazza».

IN NOVE MESI la nuova ondata ecologista ha travolto il senso comune. Il tema è stato imposto a livello globale alla riflessione di centinaia di milioni di persone, governi e mondo degli affari. Una condizione necessaria ma non sufficiente a determinare un cambio di rotta. Negli ultimi mesi i campanelli di allarme si sono moltiplicati. Dalle sterminate porzioni di aree verdi andate a fuoco tra Siberia, Amazzonia, Africa centrale e California alle alluvioni del Sud Sudan (che secondo un report di Amref hanno colpito oltre 900 mila persone), fino agli allagamenti di Venezia e Matera e ai milioni di danni lungo le coste salentine e laziali.

ALL’INIZIO DEL MESE 11 mila scienziati provenienti da 153 paesi hanno firmato una dichiarazione di emergenza che preannuncia «indicibili sofferenze causate dalla crisi climatica». L’allarme si basa su uno studio che indica come fattori principali della crisi i consumi eccessivi e le responsabilità dei paesi più ricchi. Gli scienziati affermano l’urgenza di riallineare le priorità politiche ed economiche alle esigenze dell’ambiente, da considerare alla luce di un paniere di indicatori relativi a produzione energetica, inquinanti atmosferici di breve durata, natura, cibo, economia e popolazione. Martedì scorso, poi, l’agenzia per l’ambiente delle Nazioni Unite (Unep) ha pubblicato l’Emissions Gap Report 2019. Lo studio sostiene che se tutti i paesi firmatari degli accordi di Parigi dessero seguito agli impegni presi «c’è un 66% di possibilità che entro la fine del secolo l’aumento delle temperature si limiti a 3,2º C». Considerando che questi impegni sono spesso ignorati, che gli Stati Uniti si sono ritirati dall’accordo e che secondo il Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico dell’Onu (Ipcc) bisogna fermare il surriscaldamento a 1,5 gradi in più dell’era preindustriale per evitare disastri che metterebbero a rischio la vita umana sul pianeta è facile intuire la gravità della situazione e l’urgenza di risposte radicali.

 

È IN QUESTO QUADRO che il movimento dei Fridays sta maturando. Declinando le sue rivendicazioni anche rispetto ai provvedimenti legislativi nazionali, dalla contestazione del Decreto clima a quella del Piano nazionale integrato energia e clima (Pniec). Collegando la battaglia generale alle vertenze territoriali, contro Tav, Tap, Ilva, Muos, grandi navi. Ragionando intorno a nuove pratiche di cui dotare il movimento per dare maggiore efficacia alle proteste.

OLTRE AI CORTEI, nel nuovo sciopero per il clima ci saranno blocchi di multinazionali ritenute responsabili del cambiamento climatico. Ieri mattina a Roma una trentina di attivisti del nodo locale dei Fridays si sono incatenati davanti alla sede Eni, all’Eur, chiudendone l’ingresso ufficiale per diverse ore «per protestare contro i piani di espansione della multinazionale nella ricerca e nello sfruttamento di petrolio e gas metano». «L’azienda lo definisce combustibile della transizione, ma è noto che il metano è un gas serra anche più potente dell’anidride carbonica». Proteste analoghe si terranno domani davanti alle raffinerie Eni di Stagno (Livorno) e Sannazzaro de’ Burgondi (Pavia) e a impianti che utilizzano combustibili fossili a Napoli.