La prima volta fu nel 2019, quando stabilì la costituzionalità del diritto dei malati terminali italiani ad ottenere dal Sistema sanitario nazionale, in determinate condizioni, l’assistenza medica al suicidio. La seconda volta, nel febbraio 2022, dichiarò invece inammissibili i quesiti referendari sull’«eutanasia legale». Ora la Corte costituzionale si pronuncerà per la terza volta sul fine vita, e in particolare sulla questione sollevata dal Tribunale di Firenze che riguarda uno dei quattro requisiti richiesti dalla stessa Consulta per la non punibilità dell’aiuto al suicidio: la dipendenza del malato terminale da un «trattamento di sostegno vitale».

IL CASO SU CUI la Gip di Firenze, Agnese De Girolamo, ha sollevato la questione di legittimità costituzionale riguarda il suicidio assistito di Massimiliano, detto Mib, 44enne di San Vincenzo (Livorno) che morì l’8 dicembre 2022 in una clinica vicino a Zurigo, tre giorni dopo aver diffuso un appello, tramite l’associazione Coscioni, in cui spiegava di soffrire da 6 anni «di una sclerosi multipla che mi ha già paralizzato» e di voler «essere aiutato a morire senza soffrire in Italia, ma non posso, perché non dipendo da trattamenti vitali».

LO ACCOMPAGNARONO in Svizzera, nel suo ultimo viaggio, l’attivista dell’associazione Coscioni, Felicetta Maltese, e la giornalista Chiara Lalli, che il giorno dopo si autodenunciarono ai carabinieri di Firenze insieme al tesoriere Marco Cappato in qualità di legale rappresentante dell’Associazione Soccorso Civile che aveva organizzato e finanziato il viaggio di Massimiliano. Ad ottobre, il pm e la difesa avevano chiesto per loro l’archiviazione, ma lo scorso 23 novembre la Gip ha rigettato l’istanza proprio perché a Massimiliano mancava il quarto requisito richiesto dalla Consulta (oltre alla patologia irreversibile, le intollerabili sofferenze fisiche o psicologiche, e la capacità piena del paziente di prendere decisioni libere e consapevoli) nella sentenza 242/2019 Cappato/Dj Fabo. Per la giudice De Girolamo, infatti, è «rilevante e non manifestamente infondata – scrive nell’ordinanza emessa il 17 gennaio – la questione di legittimità costituzionale dell’art. 580 codice penale, come modificato dalla sentenza n. 242 del 2019 della Corte costituzionale, nella parte in cui richiede che la non punibilità di chi agevola l’altrui suicidio sia subordinata» alla «tenuta in vita da trattamenti di sostegno vitale» dell’aspirante suicida. Secondo la Gip questa condizione potrebbe essere in contrasto «con gli artt. 2, 3, 13, 32 e 117 della Costituzione, quest’ultimo in riferimento agli artt. 8 e 14 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo».

IN CASO DI CONDANNA, gli indagati rischiano dai 5 ai 12 anni di carcere. Ma l’avvocata Filomena Gallo, segretaria dell’associazione Coscioni e a capo del collegio di difesa degli imputati, si dichiara «fiduciosa» nel lavoro dei giudici della Consulta: «Il trattamento di sostegno vitale – spiega – se interpretato in senso restrittivo, è un requisito discriminatorio in quanto non incide sulla capacità di prendere decisioni, sulla irreversibilità della malattia, né sulle sofferenze intollerabili». E infatti, aggiunge Gallo, «non è previsto in nessuna norma straniera sul fine vita».

L’associazione Coscioni ricorda che a causa di questo requisito imposto, «tanti italiani come Massimiliano (Toscana), Elena (Veneto), Romano e Margherita Botto (Lombardia), Paola (Emilia Romagna), Sibilla Barbieri (Lazio) sono stati costretti ad andare in Svizzera per poter avere accesso al suicidio assistito».

LA CONSULTA AVEVA comunque anche sollecitato il legislatore a normare il fine vita, ma il Parlamento latita. Motivo per il quale l’associazione Coscioni sta raccogliendo le firme per presentare in ogni regione la legge di iniziativa popolare «Liberi subito» che garantisce tempi certi, adeguati e definiti per il controllo dei requisiti dell’aspirante suicida, e l’intervento del Ssn. In Veneto una settimana fa la legge è stata bocciata, ma in altre regioni la proposta o altri testi simili sono stati già depositati.

Prossimo appuntamento, in Lombardia. Dove la Regione sta vagliando le oltre 8 mila firme depositate, ed entro il 2 febbraio dovrà pronunciarsi sull’ammissibilità della pdl. Tempi che potrebbero allungarsi se i proponenti della legge fossero chiamati in audizione dall’Ufficio di presidenza. Il quale può decidere solo all’unanimità, altrimenti la parola passa all’aula del consiglio regionale. La strada è lunga, ma a rimetterci sono solo i malati che soffrono e aspettano.