Il governo e l’esercito della Nigeria non cessano di ripetere che il conflitto contro Boko Haram è terminato e che il gruppo jihadista affiliato allo Stato islamico è stato «definitivamente sconfitto». Parole che si scontrano con i numerosi attentati che flagellano da almeno due anni il paese. L’ultimo venedì scorso, quando tre kamikaze hanno causato oltre 20 morti vicino alla città nord-orientale di Maiduguri.

Il 2018  è cominciato come l’anno precedente. Tra gennaio e febbraio sono oltre una decina le azioni che Boko Haram rivendica: incursioni nei villaggi, attacchi alle caserme dell’esercito e attentati suicidi, spesso compiuti da donne o da bambini.

Nonostante il gruppo sia diviso tra la corrente di Abu Musab Al Barnawi – nominato capo dello Stato islamico nell’Africa occidentale dallo stesso al Baghdadi nel 2016 – e quella del vecchio leader Abubakar Shekau, «le due fazioni dopo una tregua hanno ripreso a scontrarsi – riferisce un alto comandante dell’esercito nigeriano all’Afp – e fanno a gara tra chi compie l’attentato più sanguinoso, con conseguenze gravissime sui civili».

Boko Haram, attivo dal 2009, ha causato la morte di 20mila persone e l’esodo forzato di oltre 2 milioni di profughi con azioni in tutto il bacino del lago Ciad che hanno coinvolto anche Camerun, Niger e Ciad. «La violenza e la brutalità del gruppo è causa di una grave crisi umanitaria – denuncia un rapporto di Amnesty International – con oltre 500mila bambini che rischiano di morire di fame, la chiusura di 2mila scuole, carenza di ospedali e un enorme numero di persone, principalmente bambini, traumatizzate dalle violenze».

La stessa Forza multinazionale di intervento (Mnjtf – a guida nigeriana e formata anche da truppe di Camerun, Niger, Ciad e Benin) sembra incapace di contrastare le razzie dei miliziani anche a causa del loro “nomadismo”. A questo si aggiunge una «radicalizzazione del territorio portata avanti con i miliardi dell’Arabia saudita», come scrive James Dorsey sul quotidiano Globalist. Fino a creare, aggiunge, «quel tessuto sociale “wahabita” favorevole al gruppo, anche per ragioni geo-politiche di dominio sulla comunità sciita, vicina all’Iran». La stessa Riyadh ha ospitato, nel 2004, il fondatore del gruppo jihadista, Mohamed Yusuf, quando era ricercato dalle autorità nigeriane ed è stata decisiva per la diffusione del salafismo e della Sharia (legge coranica) nel Paese, con la costruzione di moschee e scuole. Le difficoltà di combattere ed eliminare Boko Haram sembrano comunque avere delle ragioni molto più complesse.

Il ministro degli Esteri nigeriano Geoffrey Oneyama al contrario dichiara che «i miliziani sono poveracci in cerca di cibo, mentre i veri fondamentalisti non sono molti e, per batterli definitivamente, basterebbe arrestare o uccidere i leader». Secondo Amnesty i miliziani del gruppo sono oltre 10mila, bene armati e organizzati, grazie anche al sostegno logistico di alcuni comandanti dello Stato islamico arrivati dalla Siria e dall’Iraq dopo la caduta del “califfato”.