Condannati in via definitiva per mafia, interdetti dai pubblici uffici ma grandi mediatori e tessitori politici in una fase complicata per il centrodestra in Sicilia, spaccato tra anti e pro Musumeci: sono Marcello Dell’Utri (7 anni per concorso esterno in associazione mafiosa) e Totò Cuffaro (7 anni per favoreggiamento e rilevazione di segreto d’ufficio). Il loro supporto sottotraccia è stato determinante per rimettere insieme i cocci di una coalizione, che rimane frantumata, attorno a Roberto Lagalla, l’ex rettore di Palermo, candidato a fare il sindaco della quinta città d’Italia, da decenni ‘regno’ incontrastato di Leoluca Orlando.

DA DELL’UTRI – diventato di colpo ‘rivale’ del ras di Fi Gianfranco Miccichè – s’è recato persino il governatore Musumeci, qualche giorno fa; un colloquio nell’hotel delle Palme a Palermo, che ha suscitato la dura reazione di Claudio Fava, presidente dell’Antimafia siciliana: «Considero inaccettabile che la più alta carica istituzionale di questa Regione vada a chiedere consigli, offrire omaggi, chiedere benedizioni politico-elettorali a un condannato in via definitiva per mafia: il concorso esterno è un reato che segna i comportamenti; vuol dire aver dato sostegno, condivisione, solidarietà all’associazione mafiosa. Questo è incompatibile con chi deve rappresentare in modo più alto la Regione».

PAROLE NETTE, alle quali ora si aggiungono quelle ancora più esplicite del giudice Alfredo Morvillo, fratello di Francesca e cognato di Giovanni Falcone, assassinati con gli agenti della scorta a Capaci nel ‘92. «A trent’anni dalle stragi la Sicilia è in mano a condannati per mafia – afferma l’ex magistrato – E c’è chi attualmente strizza l’occhio a questi personaggi. C’è una Palermo che gli va dietro, se li contende e li sostiene». Morvillo non ha fatto nomi, ma il riferimento è agli assetti e agli schieramenti per le prossime elezioni comunali e regionali. Due snodi che hanno visto tornare alla ribalta proprio Dell’Utri e Cuffaro, che dopo avere scontato il carcere è tornato sulla scena politica con la sua «Dc nuova». «Davanti a questi fatti mi viene in mente un cattivo pensiero: certe morti sono stati inutili – attacca Morvillo – Qui sono accadute cose inaudite. Ma la libidine del potere spinge alcuni a stringere alleanze con chicchessia».

CUFFARO PERÒ non ci sta: «Nonostante la sua autorevole considerazione, che rispetto ma che con educazione non condivido, credo di avere il diritto costituzionalmente riconosciutomi e forse anche il dovere di vivere la mia vita da libero e coltivare il mio impegno politico e sociale dopo avere pagato i miei errori con grande sofferenza». Ma Salvatore Borsellino, fratello del magistrato ucciso nella strage di via D’Amelio, si schiera con Morvillo. «Purtroppo non posso che essere d’accordo – afferma – Utilizza toni pacati nella sua denuncia, ma dice cose vere e lo fa con forza. È assurdo che due persone con condanne per mafia possano fare da grandi elettori per le elezioni siciliane. Ancora di più che i candidati appoggiati non si dissocino in nessun modo da questo sostegno, finendo anzi per accettarlo e, in qualche caso, per ricercarlo». Insomma, avverte Salvatore Borsellino, «il problema non è Cuffaro», anche perché «nel nostro Paese esiste il diritto all’oblio», ma chi accetta il suo appoggio, è un tema di «opportunità morale».

ANCHE L’EX PM Giuseppe Di Lello, che fece parte del pool di Antonio Caponetto con Falcone e Borsellino, è convinto che «sembra di essere tornati a trenta anni fa». «Non aggiungerei una virgola a quella dichiarazione – sostiene – In effetti, sembra che non sia accaduto nulla. Nel senso che la magistratura può fare opera di contenimento e di ristabilimento della legalità ma non può fare altro. Poi tocca alla società e alla politica che esprime completare l’opera di risanamento. E questo non è accaduto. Lo abbiamo sempre detto: da sola la magistratura non poteva cambiare la società. È un problema dei partiti, della politica e della loro involuzione». Di Lello assicura che, come rivendica Totò Cuffaro, «nessuno vuole toccare i diritti costituzionali ma resta il fatto che si tratta di persone condannate per reati di mafia e non per reati comuni».

PER TINA MONTINARO, vedova del caposcorta del giudice Giovanni Falcone morto nell’attentato di Capaci, «siamo al fatto che cambia tutto per non cambiare mai nulla: parliamo sempre ai giovani, ma non mi pare che stiamo dando un grande esempio. Allora come possiamo pretenderlo? Mi si continua a girare lo stomaco». «Sebbene il mondo di certa politica non riesce ad affrancarsi da personaggi che a oggi sono interdetti dal voto perché condannati per reati connessi alla mafia, sono sicuro che dinnanzi al pericolo del ritorno di quelle logiche di potere spregevoli e clientelari, i cittadini sapranno dimostrare ancora una volta da che parte sta la gente onesta», rincara Franco Miceli, ex segretario del Pci a Palermo e candidato sindaco del centrosinistra.