Non troppo presto, in modo da impedire alla Lega di promuovere un referendum abrogativo prima del 2022. Ma neanche troppo tardi, perché si rischierebbe di finire a ridosso della legge di bilancio con conseguente accantonamento e rischio di rendere inutili mesi di lavoro.

Ci sono anche questi equilibrismi numerici dietro il ritardo con cui il governo, nonostante gli annunci siano ormai quotidiani, ancora non si decide a mandare in soffitta i decreti sicurezza di Matteo Salvini. Il testo del nuovo provvedimento (che ora non ha più la parola «sicurezza» nel titolo e si chiama «Disposizioni urgenti in materia di immigrazione, protezione internazionale e complementare, nonché in materia di diritto penale») è già a palazzo Chigi, pronto per essere discusso in consiglio dei ministri. Che non sarà «il prossimo», come annunciato subito dopo le elezioni regionali dal segretario del Pd Nicola Zingaretti. Ma neanche i prossimi, a quanto si capisce, perché oltre al calendario c’è da stare attenti anche a un possibile ripensamento da parte dei 5 Stelle, da sempre i meno convinti a voler cambiare i decreti salviniani.

Nonostante il nuovo provvedimento sia stato letteralmente cesellato dalla ministra dell’Interno Luciana Lamorgese con il consenso di tutta la maggioranza, fino ad arrivare alla versione definitiva approvata ad agosto, c’è infatti sempre la possibilità che l’ala non governista del Movimento decida di far saltare i banco. Non a caso ieri il capogruppo di LeU alla Camera Federico Fornaro, che ha partecipato al lavoro di riscrittura, ieri è tornato a spingere perché ci si lasci al più presto alle spalle «la stagione dei decreti Salvini». «Prima si chiede quella pagina, meglio è per l’Italia», ha insistito. «Non ci sono più problemi politici, e se ci sono problemi tecnici si affrontino e poi si approvi la riforma», ha insistito anche Zingaretti.

Rispetto alle misure anti immigrazione decise da Salvini, il nuovo decreto fa dei passi i avanti importanti. Vengono cancellate le maxi multe per le navi delle ong che non rispettano il divieto di ingresso nelle acque territoriali (si torna a sanzioni comprese tra i 10 mila e i 50 mila euro come stabilito anche dal Codice della navigazione, misura criticata ieri dalla ong Open Arms che sollecitava una cancellazione totale delle sanzioni) mentre l’illecito da amministrativo diventa penale. Non commettono nessun reato le navi delle ong che intervengono in soccorso di imbarcazioni in difficoltà, purché l’intervento venga effettuato «nel rispetto delle indicazioni della competente autorità per la ricerca e soccorso in mare» (non esclusa, però, quella libica). Sarà inoltre consentito ai richiedenti asilo iscriversi all’anagrafe comunale e ricevere una carta d’identità valida tre anni (possibilità esclusa dai con il primo decreto sicurezza ma in seguito reinserita dalla Corte costituzionale) e vengono aumentare le categorie alle quali potrà essere riconosciuta la protezione umanitaria.

Previsto infine un nuovo sistema di accoglienza per i richiedenti asilo, chiamato ora «Sistema di accoglienza e integrazione» e che prevede la costituzione di centri piccoli con al massimo cento persone gestiti dai Camuni, dove al richiedente asilo verranno assicurate «assistenza sanitaria, sociale e psicologica, la mediazione linguistico-culturale», corsi di lingua italiana e assistenza legale.

Tra le novità c’è anche la riduzione da 180 a 90 giorni dei tempi di detenzione nei centri per i rimpatri che però potranno diventare 120 in caso di migranti provenienti da Paesi con i quali l’Italia ha un accordo per i rimpatri. Tra gli aspetti negatici la possibilità di esaminare direttamente «alla frontiera o nelle zone di transito» la richiesta di asilo presentata da u migrante che sia stato fermato«per aver eluso o tentato di eludere i relativi controlli» oppure «proveniente da un Paese designato di origine sicura». Prevista infine la possibilità di procedere all’arresto «per i reati commessi con violenza alle persone o alle cose durante il trattenimento in uno dei centri» di accoglienza.