Nelle ultime tre settimane abbiamo visto manifestazioni frequenti in moltissime città iraniane dopo la morte della giovane curda Mahsa Amini.

Ne abbiamo parlato con un docente di scienze politiche e diritto internazionale iraniano, che ha chiesto di restare anonimo.

Come si spiegano queste manifestazioni?

Sono il prodotto di un malessere generale che è presente tra quasi tutte le classi sociali in misure e modalità diverse. La grave crisi economica, il tentativo di controllare e modellare la sfera privata dei cittadini, la diffusa corruzione amministrativa pubblica, dalle raccomandazioni fino all’appropriazione indebita di centinaia di miliardi di toman (la moneta locale, ndr). Le insensate promesse non mantenute, la falsa empatia di personaggi chiave che non ha mai portato a nulla.

Ma i manifestanti contestano il velo obbligatorio per le donne e rivendicano i loro diritti.

Infatti questo costituisce una novità, neanche tanto inaspettata. Le donne sono più acculturate e accademicamente più preparate, e allo stesso tempo più discriminate e maltrattate.

Non bastassero le limitazioni e le ingiustizie legalizzate, ci sono anche le pattuglie di Ershad (la polizia morale, ndr) che controllano il loro modo di vestire e arbitrariamente le fermano, le maltrattano, le multano e, in alcuni casi come quello di Mahsa Amini, finisce in tragedia. Anche se il loro comportamento è illegale, vengono palesemente coperti dal sistema giudiziario.

Ecco quindi che le rivendicazioni delle donne sono diventate il simbolo di tutti i malesseri e delle ingiustizie sociali, politiche ed economiche.

Partendo dalle donne si colpisce il centro di una teocrazia obsoleta che giustifica tutto in nome della religione e che di fatto si è allontanata anche dai veri valori islamici.

Le università iraniane sfornano poco meno di un milione di laureati all’anno di cui decisamente più della metà sono donne. Come si può pensare di obbligarle forzatamente ad entrare in un modello prestabilito? Senza considerare che usare la forza bruta per convincere un individuo ad essere un buon musulmano non è contemplato nella religione islamica e tutti i riferimenti citati dalla classe oscurantista della nostra società sono semplicemente interpretazioni di contesti storici molto lontani.

Da più parti viene detto che tutto è organizzato dagli “stranieri” o da iraniani pagati dagli stranieri.

Una vecchia retorica che per un periodo ha funzionato. Il timore che succeda ciò che è successo in Iraq, Siria, Libia e Afghanistan certamente ci spaventava. Ma attribuire a esterni tutta questa pressione sociale e la discriminazione perpetrata dai tutti gli organi dell’establishment è davvero troppo.

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Certo sappiamo che in Iran sono gruppi in al soldo degli stranieri. Sappiamo che Israeliani e sauditi hanno una rete organizzata all’interno del paese. Basta pensare agli attentati che sono riusciti a fare. È vero che anche alcune organizzazioni di opposizione all’estero dispongono di elementi nel paese. Ma chiudere gli occhi sul disagio sociale, politico e economico che oggi viviamo e pensare che questi gruppi possano essere così influenti da promuovere le manifestazioni nella maggiore parte del paese è solo non volere accettare la realtà sul campo.

I manifestanti sono giovani e giovanissimi: le fonti governative sostengono che l’80% degli arrestati ha meno di 25 anni. Se questa grande potenzialità ed energia viene chiusa in una gabbia bisogna aspettarsi prima o poi la sua esplosione.

Adesso tutti i quotidiani scrivono che l’articolo 27 della costituzione riconosce il diritto alle proteste popolari e molti chiedono di creare una piattaforma per lo svolgimento di raduni di protesta. Vogliono istituzionalizzare anche le proteste. È davvero una cecità che colpisce la nostra classe politica. Nel nostro parlamento c’è un gruppo di yes men che impedisce lo sviluppo naturale del progresso sociale. Non si fidano dei loro stessi figli che hanno allevato nelle scuole per 8 ore al giorno, 9 mesi all’anno. Stanno uccidendo la creatività dei giovani mettendo a rischio il loro futuro, e con esso il futuro del paese.

Dove invece questa creatività trova spazio, cresce e si sviluppa in modo eccezionale. Un esempio: c’è un panorama multiforme di creatività che ha permesso a 10 milioni di giovani iraniani di lavorare attraverso internet.

Non è tutto è rosa e fiori ma è stupido pensare che tutto sia il male. È ancora più stupido pensare che per ciò che il nostro establishment ritiene un male venga chiusa l’intera rete senza neanche considerare che tra poco ci sarà la possibilità di connettersi a internet senza i server locali. Tutto si è tradotto in una mancanza di fiducia tra la popolazione e la classe dirigente che sembra insanabile, a meno che le cose non cambino profondamente. Ma in silenzio, senza promesse: un lavoro di risanamento onesto che ci porti fuori da questo pantano.

I manifestanti mirano a un cambio di regime?

Tale rivendicazione richiede l’unità di molte classi produttive del paese. Non bastano studenti, universitari, giornalisti e noi docenti. È una condizione che non si presenta oggi ma che onestamente non credo sia indispensabile.

Se però tutto questo continua è inevitabile che a un certo punto il processo risulti irreversibile.