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Dalla Terra dei fuochi in Marocco

Dalla Terra dei fuochi in Marocco

ECOBALLE Incenerite nei cementifici. Gli ambientalisti di Rabat: «Non siamo la vostra pattumiera». Paolo Rabitti, esperto di rifiuti tossici: «Gli impianti omologati in Europa costano, ma smaltire il Cdr nei forni dei cementifici è inquinante»

Pubblicato più di 8 anni faEdizione del 9 luglio 2016

Le ecoballe della Terra dei fuochi stanno per sbarcare in Marocco per essere incenerite nei cementifici marocchini in barba alle norme comunitarie europee sulle emissioni di diossina.

La prima nave deve ancora attraccare alla banchina del porto di El Jadida con il suo carico di rifiuti provenienti dalla discarica di Taverna del Re, situata tra Giugliano, provincia di Napoli, e Villa Literno, provincia di Caserta, e questo nuovo traffico tra una sponda e l’altra del Mediterraneo ha già sollevato un vespaio di polemiche, in Marocco.

Tanto che il partito di governo, il partito islamista moderato Giustizia e Sviluppo (Pjd), che esprime anche il premier di Rabat, sta cercando di mediare tra le organizzazioni ambientaliste marocchine sul piede di guerra, i giornali locali che si stanno prodigando in inchieste e denunce, e la potente associazione dei cementieri Apc, interessata al nuovo business, che continua a rilasciare dichiarazioni rassicuranti sulla non pericolosità della combustione dei rifiuti provenienti dall’Italia.

Ieri è stata convocata una conferenza stampa per lunedì al ministero dello Sviluppo di Rabat per definire i compiti di una commissione d’inchiesta mista società civile-parlamentari, che sarà incaricata di indagare sulla vera natura dei rifiuti contenuti nelle ecoballe e sulla loro pericolosità ambientale.

Dopo che a novembre si è tenuta a Marrakesh la Cop22, la ventiduesima conferenza mondiale sul clima e l’ambiente sotto l’egida delle Nazioni Unite, la sensibilità ambientalista in Marocco si è diffusa e quando, il 30 giugno scorso, il sito hespress.com ha pubblicato in arabo un’inchiesta sull’arrivo della prima nave nel porto di Jorf Lasfar, vicino alla città atlantica di El Jadida, di un traffico di 2.500 tonnellate di rifiuti provenienti dalla Campania, la Coalition marocaine pour la justice climatique – piattaforma di quasi 200 associazioni ambientaliste – in sole 72 ore è riuscita a raccogliere 10 mila firme per una petizione su charge.org indirizzata al ministero dell’Ambiente con il titolo «Il Marocco non è una pattumiera».

I giornali locali hanno tradotto numerosi articoli italiani sugli affari della camorra sui rifiuti interrati nella Terra dei Fuochi campana e sui danni sanitari e alimentari delle coltivazioni su terreni inquinati, sulle battaglie in Campania e in Italia dei comitati contro gli inceneritori. E il vespaio è persino aumentato.

I cittadini trovano assurdo che il governo, tanto impegnato dopo la Cop22 a eliminare le buste di plastica dai negozi con la campagna Zero Mika, non vigili invece sullo smaltimento di rifiuti di dubbia composizione e provenienza.

La ministra dell’Ambiente Hakima El Haité il 5 luglio ha assicurato che i rifiuti campani «non sono pericolosi» aggiungendo poi subito dopo che comunque la decisione d’importarli «non è stata ancora presa».

I rifiuti, classificati in gran parte come refuse derived fuel – in sigla Rdf, da noi Cdr, cioè in pratica ecoballe – verranno smaltiti nei forni dei cementifici a 1.500 gradi centigradi, ha dichiarato al sito Medias24 il presidente dei cementieri Mohamed Chaibi e questa «termovalorizzazione» garantirebbe un processo pulito, fornendo energia rinnovabile «in alternativa a quella fossile».

Per Chaibi – il direttore generale dell’Apc è l’italiano Mario Domenico Bracci della filiale marocchina del gruppo Italcementi – si tratterebbe essenzialmente di legno, plastica, carta, scarti organici tritati e secchi: cioè, appunto, un pour-pourri nauseante diametralmente opposto a rifiuti differenziati.

Oltretutto gli ambientalisti dell’altra sponda fanno notare che l’unico impianto per il trattamento di rifiuti omologato è quello di Fes, già potenzialmente saturo per una popolazione di 35 milioni di abitanti di cui il 70% vive in aree urbane.

L’ingegner Paolo Rabitti di Mantova, uno dei maggiori esperti di ecoballe dal punto di vista scientifico in Italia, fa notare che un traffico di Rdf di questo tipo «di problemi ne pone parecchi». «La molecola della diossina si rompe a temperature elevate, perciò l’obbligo di legge è incenerire i rifiuti a 850 ma non basta una temperatura più alta – ci spiega al telefono – perché senza adeguati sistemi di abbattimento, come quello catalitico denonimato denoix nel rapporto Bref con le prescrizioni di Bruxelles, la diossina si riforma dopo la combustione, si chiama diossina de novo».«I forni dei cementifici non hanno questi sistemi, ma in Marocco le prescrizioni e le multe europee non valgono».

I costi possono essere molto convenienti, anche incluso il trasporto. Si deve considerare che l’Italia è costretta a pagare 120 mila euro al giorno di sanzione Ue per le ecoballe.

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