Ursula von der Leyen parte all’attacco, nella campagna per la riconferma alla presidenza della Commissione, per contrastare i dubbi crescenti sulla sua candidatura approvata senza grande entusiasmo dal Ppe. In questi giorni i socialisti, i liberali e i verdi hanno espresso forti riserve, poiché si oppongono alle aperture opportunistiche verso l’estrema destra di Ecr (a cui appartiene Fratelli d’Italia), che Ursula von der Leyen ha fatto in occasione del primo dibattito tra leader dei gruppi dell’Europarlamento la scorsa settimana.

IERI, DA KATOWICE, all’European Economic Congress che si tiene in Polonia, von der Leyen ha insistito sulla difesa: «Ci piaccia o no – ha detto – siamo in un’era di riarmo». La presidente-candidata propone «una serie di progetti di difesa comune»: a cominciare da un «commissario alla Difesa a pieno titolo», che non esiste nella Commissione uscente, oltre a «potenziare la capacità industriale delle difesa nei prossimi cinque anni». Per von der Leyen, «l’Europa deve spendere di più, spendere meglio e spendere europeo» per le armi. Senza voltare le spalle alla Nato, la Ue dovrebbe prepararsi a far fronte alle sfide, mentre la prossima Commissione entrerà in funzione al momento dell’elezione presidenziale statunitense, a novembre, che potrebbe essere una brutta sorpresa per la difesa europea in caso di ritorno di Trump che a febbraio ha minacciato di togliere l’«ombrello Usa» all’Europa. Con la guerra in Ucraina, i paesi Ue hanno svuotato i magazzini e hanno cominciato a riarmarsi (più 20% di spese per la difesa tra il 2022 e il 2024), ma nei due anni di confitto il 78% dei nuovi armamenti sono stati comprati fuori dal blocco, il grosso negli Usa. Anche se la Commissione spera che nel 2030 il 40% dei nuovi armamenti verranno comprati all’interno della Ue.

IL COMMISSARIO AL MERCATO unico, Thierry Breton, che ha presentato a marzo il programma europeo per l’industria della Difesa ha valutato a 100 miliardi gli investimenti necessari, e Bruxelles pensa a una «preferenza europea» in questo settore (la Francia, che è diventata il secondo esportatore mondiale di armi, vende soprattutto fuori dalla Ue).

Von der Leyen è già pronta a promettere il posto di commissario alla Difesa a un paese dell’est, probabilmente alla Polonia, che ha il più grosso esercito in Europa in termini di uomini e che non esclude l’eventualità di inviare truppe in Ucraina (e a cui ha offerto in settimana la fine della procedura “articolo 7” per mancato rispetto dello stato di diritto).

Von der Leyen, che ormai mette in sordina il Green Deal raggiunto nel suo mandato, per non contrastare un appoggio potenziale nel gruppo Ecr – ostile all’ecologia come tutta l’estrema destra – presenta come sua principale eredità di cinque anni di mandato la rapidità con cui l’Ue ha risposto all’aggressione russa all’Ucraina, mantenendo l’unità (malgrado qualche scarto dell’Ungheria). È convinta che la Ue debba ormai privilegiare «un’economia di guerra».

SONO STATI STANZIATI 1,5 miliardi per l’acquisto di munizioni in comune, ci sono 17 miliardi per la facility europea per la pace. L’Europa della Difesa non andrà molto più lontano: l’obiettivo realistico è «mettere in comune conoscenze e capacità», dice von der Leyen. Enrico Letta, nel suo rapporto, propone una maggiore «sincronizzazione». Ma un esercito europeo non è alle porte. La polemica esplosa in Francia dopo l’ipotesi fatta da Emmanuel Macron alla Sorbona il 25 aprile, su un’eventuale «europeizzazione» della capacità di dissuasione nucleare francese, illustra bene come in ogni paese ci siano forze che non intendono mettere in comune questa sovranità nazionale.