«Non ci saranno ulteriori proroghe alla chiusura degli Opg». Ad assicurarlo è Roberto Calogero Piscitello, Direttore generale dei detenuti e del trattamento del Dipartimento di amministrazione penitenziaria (Dap): «Dal primo aprile gradualmente, nel giro di qualche settimana, tutti gli internati saranno trasferiti nelle Rems, le Residenze per l’esecuzione della misura di sicurezza sanitaria». Un «momento epocale» che però, puntualizza Piscitello, «dovrà essere compiuto molto lentamente, con particolare cura e seguendo attentamente la presa in carica di ciascun internato, perché ogni cambiamento potrebbe costituire un trauma per persone con problemi psichici così gravi e per le loro famiglie».

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Dall’originario termine di chiusura degli Opg del 1°febbraio 2013 due decreti legge successivi hanno posticipato quella data prima al 1° aprile 2014 (legge 57/2013) e poi al 1° aprile 2015 (legge 81/2014). Durante la Conferenza delle regioni del 23 gennaio scorso però c’è chi ha chiesto di prorogare ulteriormente al 2017 il superamento di queste strutture. Allora, questa volta si chiudono davvero o no?
Sì. Il 31 marzo inizierà la chiusura degli Opg. Entro il 15 marzo le regioni dovranno comunicare al Dap e all’autorità giudiziaria dove sono state istituite e la loro effettiva attivazione a partire dal 1° aprile. Le Rems andranno a sostituire gli Opg e sono strutture di tipo leggero con una capienza massima di 20 posti letto. Tra l’altro il 26 febbraio in sede di Conferenza unificata è stato firmato un accordo tra le regioni, le autonomie locali, il Dap e il ministero della Salute finalizzato a stabilire le residue norme di ordinamento giudiziario e il regolamento che si applicheranno all’interno di queste piccole residenze.

Che tipo di regole?
Una serie di norme minime per le regioni che hanno un timing da rispettare e regole per le strutture, per l’assegnazione dei soggetti internati, per i trasferimenti e i piantonamenti. Regole sul periodo transitorio, sulla conservazione degli atti processuali, sulla formazione del personale, sulla sicurezza, sul monitoraggio e sui rapporti con gli Uffici di esecuzione penale esterna e con la magistratura.

Quali competenze ha il Dap su queste strutture?
Dopo che le Regioni avranno comunicato la disponibilità effettiva delle Rems, che dipenderanno dal Ssn, dal 1° aprile, poi spetta al Dap avviare gradualmente i trasferimenti degli internati presso le nuove strutture sanitarie regionali. Noi stimiamo che le persone che da quella data dovranno essere trasferite nelle Rems saranno circa 600. Perché in questi giorni si sta completando un processo, che è iniziato ormai qualche anno fa, di presa in carico di soggetti dimissibili fin da subito e che saranno seguiti dai dipartimenti di salute mentale delle Asl, in un regime depenalizzato a prescindere dalla chiusura degli Opg. Il che permette una notevole riduzione dei posti letto rispetto al programma originario. Quando infatti nel 2009 si è cominciato a ragionare sulla chiusura dei sei Opg italiani, gli internati in totale erano circa duemila. Al 30 gennaio scorso erano 722, visto che ogni settimana si portano a compimento un numero di procedure di dimissione che va tra 5 e 10.

Una qualche forma di controllo ci sarà, da parte del Dap?
Il Dap non avrà nessun tipo di controllo su queste residenze: all’interno delle Rems non è prevista la polizia penitenziaria e sarà il personale sanitario dipendente delle Asl ad assolvere anche le loro funzioni. Ci sarà solo un servizio di vigilanza esterna affidato alle prefetture. Ci sono poi mansioni, come la conservazione del fascicolo processuale, per dirne una, che saranno affidate al personale amministrativo delle regioni. Ovviamente è previsto un periodo transitorio in cui il Dap manterrà il controllo su alcune funzioni e procederà alla formazione del nuovo personale. Poi tutto passerà al personale del Ssn.

Dalla relazione sullo stato di attuazione della riforma degli Opg trasmessa il 30 settembre 2014 dai ministri Orlando e Lorenzin al Parlamento, risulta che oltre la metà dei pazienti è stata dichiarata dimissibile. C’è stata dunque un’accelerazione nei procedimenti di dimissione degli internati, in vista della chiusura degli Opg? Perché queste dimissioni non sono state avviate prima?
La permanenza negli Opg fino ad oggi, oltre alle previsioni del codice, era determinata anche dai magistrati di sorveglianza che sulla base delle valutazioni fatte dai sanitari decidevano quando si poteva mettere fine alla misura di sicurezza a cui è sottoposta la persona, ovvero intraprendere un percorso terapeutico esterno. Evidentemente, il sistema degli Opg prediligeva le esigenze restrittive rispetto a quelle di cura. Stiamo sempre parlando di misure di sicurezza, non di pene, perché si tratta di soggetti non imputabili, in quanto hanno commesso reati in condizioni in cui non erano capaci di intendere e volere. Obiettivamente il pregio della legge è che individua oggi luoghi alternativi che fino a ieri non c’erano, motivo per il quale spesso la magistratura di sorveglianza si vedeva costretta a prorogare le misure di sicurezza.

Non c’è un’anomalia della Regione Sicilia dove la sanità penitenziaria dipende ancora dal ministero di Giustizia anziché dalla Regione, come imponeva il Dpcm del 2008?
No, non c’è. È vero che nelle altre regioni il personale sanitario interno al carcere era già transitato al Ssn, ma in Sicilia si inizierà proprio con l’attivazione delle Rems. Il ministero della Finanza ha dotato la Sicilia al pari delle altre regioni dei fondi necessari per la creazione delle Rems.

C’è chi sostiene che queste Rems non siano poi così diverse dagli Opg e che in fondo si ricostituiranno dei piccoli manicomi. Lei cosa pensa?
Lo escludo categoricamente. L’Opg è un carcere, ci sono le celle, c’è il muro di cinta, c’è la polizia. Queste strutture sono residenze a completa gestione sanitaria.

Eppure gli Opg chiudono anche per le condizioni disumane di trattamento degli internati rilevate nel 2011 dalla commissione d’inchiesta presieduta dall’allora senatore Ignazio Marino.
In nessun caso, né ieri né oggi è mai stato fatta violenza sugli internati. A Bacellona Pozzo di Gotto Marino trovò un lettino di contenzione mai usato che sollevò grande scalpore… Comunque quel periodo ha segnato una presa di coscienza importante, secondo me. Grazie a Marino e alla legge che porta il suo nome si è appurata la necessità di trovare posti diversi dagli Opg dove gli internati possano essere trattati psichiatricamente. Perché fino a quel momento l’accento era posto più sull’esecuzione della misura di sicurezza che sulla tutela della salute mentale, che era elemento secondario rispetto alla custodia. Tanto che gli Opg erano in primo luogo istituti di pena regolamentati con norme di carattere penitenziario. Dalla legge 9 del 2012 in poi si è ribaltata la prospettiva, guardando a questi soggetti non più come criminali che hanno problemi di salute ma come malati che necessitano principalmente di cure. E nel regolamento attuativo dell’ottobre 2012 c’è addirittura la descrizione delle caratteristiche strutturali che devono avere le Rems. Ecco dunque che l’investimento esclusivo di tipo sanitario allontana il rischio di ricostituire dei piccoli manicomi.

Sono comunque internati. Chi stabilirà allora le regole di vita interne alle Rems? Come saranno distribuiti nelle varie strutture? Ci saranno Rems specializzate nel trattamento di determinate patologie o saranno distinti a seconda dei reati?
Gli internati saranno dislocati ora a seconda del luogo di residenza perciò ogni regione deve garantire le strutture adeguate per il proprio bacino di utenza. Mediamente dovrebbero essere due Rems per ciascuna regione ma tutto l’iter viene monitorato da un tavolo di coordinamento istituito presso il ministero della Salute che si riunisce ogni settimana ed è presieduto dal sottosegretario Vito De Filippo. Saranno i responsabili delle residenze – non i direttori attuali, ma dirigenti sanitari nominati dalle Asl – a decidere il percorso terapeutico-riabilitativo e le regole di vita, come per esempio i colloqui, e su tutto sovrintende la magistratura di sorveglianza. Ma per ora concentriamoci sul trasferimento di queste centinaia di persone, un passaggio delicato che va seguito con cura e lentezza, perché non è funzionale né augurabile una deportazione in massa di questi malati.