Più di 130 miliardi di dollari: un bel po’ di finanziarie italiane. Questa enorme cifra rappresenta il costo che Cuba ha pagato per il più che cinquantennale blocco economico-finanziario-commerciale, applicato unilateralmente dagli Stati Uniti dall’inizio degli anni Sessanta del secolo scorso. Anche quest’anno l’Avana si appresta a presentare alle Nazioni unite una mozione di condanna di questo embargo. Ma questa volta in un pericoloso clima che ricorda quello degli anni della guerra fredda.

Le dichiarazioni di venerdì di Donald Trump – di mantenere l’embargo e il blocco delle attività dell’ambasciata statunitense a Cuba – sono come una raffica di vento che fa crollare il castello di carte della distensione voluta dal presidente Obama.

IL DIPARTIMENTO di Stato americano ha confermato che non verranno concessi visti all’Avana e che i cubani che vogliono recarsi negli Stati uniti, per ricongiungimento famigliare come pure per turismo o scopi commerciali, dovranno fare richiesta di visto in un paese terzo. E ha annunciato che sono cancellate tutte le interviste previste per le richieste di visto non evase, come pure che non saranno rimborsate le spese (160 dollari) già sostenute. Di fatto, per il cubano de a pié, il cittadino comune, sarà praticamente impossibile affrontare i costi per un visto per gli Usa che, tra l’altro, non è affatto sicuro di ottenere.

Contemporaneamente la Casa Bianca ha chiuso la porta in faccia agli imprenditori statunitensi interessati a intraprendere attività economiche o commerciali nell’isola. Infatti l’ambasciata cubana a Washington ha informato che i 15 diplomatici espulsi in seguito al caso dei supposti «attacchi acustici» avvenuti a Cuba contro diplomatici statunitensi, erano tutti impegnati nel settore commerciale. Secondo l’agenzia Reuters il contatto con l’ambasciata di Cuba costituisce il primo e necessario passo da compiere per le imprese statunitensi interessate a fare affari a Cuba.

LO SCOPO DI TALI mosse è più che evidente. L’emigrazione negli Usa, dove vi è la maggiore comunità cubana all’estero (quasi due milioni di persone), come pure i legami famigliari e soprattutto economici (rimesse) con i parenti dall’altra parte dello stretto di Florida, costituiscono una delle principali «valvole di sfogo» per decine di migliaia di cubani, sia per uscire dalle difficoltà economiche, sia per cercare lavori più remunerativi, sia per tentare una nuova vita.

Secondo gli accordi stabiliti all’epoca del presidente Bill Clinton, gli Usa si impegnavano a concedere 20.000 visti annuali a cittadini cubani, come misura per limitare l’emigrazione illegale. Ovvero quelle migliaia di cubani che si lanciavano in mare con mezzi di fortuna per giungere in Florida dove, una volta sbarcati, per la misura battezzata «piedi secchi, piedi umidi» – collegata al sistema legislativo dell’embargo – avrebbero avuto assistenza e , entro un anno, la carta verde.

L’amministrazione Obama, per contribuire alla distensione e mettere fine allo stillicidio di vittime di tali tentativi, ha cancellato lo scorso gennaio le concessioni speciali fatte agli immigrati illegali cubani.

Il risultato è che oggi viene bloccata sia l’immigrazione illegale che quella legale. E nel contempo l’Amministrazione Trump ha «sconsigliato» ai propri concittadini di recarsi a Cuba come turisti «per il pericolo di subire attacchi» e, congelando i rapporti diplomatici, ha reso estremamente difficile per gli imprenditori statunitensi fare affari con Cuba.

SECONDO IL COMMENTO di un membro (anonimo) del Dipartimento di Stato, il presidente Trump ha «sigillato la pentola a pressione» cubana, chiudendo le principali «valvole di sfogo»: emigrazione, rimesse, turismo e investimenti statunitensi. Misure drastiche, che vengono messe in atto in un momento di grande difficoltà per il governo cubano, dopo che l’isola è stata duramente colpita dall’uragano Irma. Turismo e investimenti esteri sono considerati infatti una leva essenziale per rianimare un’economia che l’anno scorso era in recessione.

Di fatto dunque si ritorna ai tempi dell’embargo più stretto e chiaramente finalizzato a «farla finita con i Castro». Una politica di governement changing «fallimentare» – come l’aveva definita il presidente Obama – e osteggiata dalla maggioranza degli statunitensi: l’anno scorso infatti il turismo americano a Cuba era aumentato del 70%. E le previsioni per quest’anno erano rosee prima che scoppiasse la spy story degli «attacchi acustici» ai diplomatci statunitensi.

MARTEDÌ SCORSO, dopo l’annuncio del congelamento delle attività dell’ambasciata americana, l’ansia e anche la disperazione erano evidenti nelle centinaia di cubani riuniti nel piazzale adiacente alla sede diplomatica – ribattezzata «parco dei lamenti» – per chiedere lumi. Decine di migliaia di famiglie nell’isola dipendono dalle rimesse dei loro parenti cubano-americani per arrivare alla fine del mese. Il timore che possano essere bloccate rappresenta l’argomento del giorno nelle conversazioni di strada e fra vicini.