«Il processo a Ilaria Salis è stato impostato come un caso politico. Una cosa che mi stupisce è che per un anno in Italia non se n’è interessato nessuno. Ora le immagini della ragazza con le manette e le catene hanno catalizzato l’attenzione dei media. Ma il fatto è che il governo Orbán o chi per lui ha deciso di dare a questo caso un alto profilo politico e mediatico». Inizia così la sua analisi il professor Stefano Bottoni, ex ricercatore dell’Accademia ungherese delle scienze, autore di diversi libri e attualmente professore associato di storia dell’Europa orientale e storia globale presso l’università di Firenze.

«Gli imputati potevano essere arrestati e condannati a pene piuttosto leggere, al massimo un anno o due. Poi con la condizionale o un po’ di riduzione pena a un certo punto sarebbero tornati nei loro paesi e la vicenda si sarebbe chiusa. Invece, si è voluto costruire un processo simile a quelli per terrorismo, trattando gli imputati come pericolosi sovversivi e aggiungendo l’aggravante dell’ ‘odio contro una comunità’. In altri termini, non si tratta di un atto di violenza privata di x contro y. Viene inserito in un capo d’accusa più grave, che è quello di una violenza perpetrata per odio». Il paradosso è che in quest’ottica la comunità protetta è quella dei neonazisti che spargono odio. Del resto, il sistema giuridico ungherese permette alle procure di agire in modo piuttosto arbitrario.

«Fin dall’inizio degli anni Dieci del 2000 la procura in Ungheria è sotto il controllo del governo. Certo, si potrebbe obiettare che anche in Francia è così, e infatti gli ungheresi utilizzano sempre questo distinguo. Ma il punto è che in Ungheria non c’è l’obbligatorietà dell’azione penale e quindi è sempre la Procura che deve decidere se avviare o meno le indagini, come ha fatto nel caso di Ilaria Salis».

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DAL 2010 il procuratore generale dell’Ungheria è Peter Polt, un fedelissimo di Orbán, è lui che negli ultimi 15 anni ha organizzato il sistema delle procure in modo gerarchico e solidale al potere politico. «Perciò nei casi più spinosi in cui è coinvolto il partito di governo (Fidesz, ndr), come ad esempio per la corruzione, i processi non partono neanche». Il caso di Ilaria Salis nelle ultime ore ha costretto i politici italiani a esprimersi sull’accaduto e alcuni, come il ministro degli Esteri, Antonio Tajani, si sono trincerati dietro il fatto che la «politica non c’entra nulla, dipende dalla magistratura». Ma è davvero così? «Per quanto riguarda la magistratura, esiste un Consiglio Superiore della Magistratura, a cui il governo di Orbán ha affiancato un altro organo di nomina governativa. Diciamo che hanno fatto diversi tentativi per irregimentare i magistrati però non sono mai arrivati allo scontro aperto come in Polonia. A questo si aggiunga che tra i giudici ungheresi c’è stato un grande ricambio generazionale, il che fa sì che a giudicare Salis, ad esempio, ci sia una giudice di 35 anni. Il che non è infrequente. Si tratta quindi di individui che non provengono dai vecchi sistemi, ma che hanno frequentato l’università 10 o 12 anni fa o al massimo durante gli anni ’90. Sono giovani, generalmente ben preparati ed è molto difficile sapere, ad esempio, per chi votino. Ma conoscendo il contesto e le capacità del sistema di agire, soprattutto per via informale, è molto facile immaginare che ai giudici di Salis siano arrivate telefonate o segnali che questo caso andava gestito con particolare attenzione perché è un caso anche politico».

IL PROFESSOR Bottoni insiste sul fatto che il fine ultimo di questo processo è dare un messaggio. «Si vuole trasmettere chiaramente l’idea che in Ungheria queste cose non si possono fare. E quindi ora Salis e i suoi compagni vengono usati come monito, diciamo come capri espiatori. Fermo restando che un reato potrebbe comunque essere stato commesso, nella maggior parte dei Paesi europei questa vicenda sarebbe finita con un’ammenda, un foglio di via magari, ma in Ungheria è stato creato il caso, volutamente. Anche se ciò provoca moltissimi fastidi sia all’opinione pubblica interna sia alla destra italiana». Per la stampa magiara, infatti, questo processo quasi non è una notizia. Il che «imbarazza anche i partiti di opposizione che sono già tutti con l’acqua alla gola. Temono probabilmente di finire dalla parte di quelli che difendono gli anarchici. Purtroppo è evidente, terribile ma evidente, nel contesto attuale non possono esporsi».

SUL VERSANTE internazionale, invece, la questione dirimente sono le alleanze in seno al Parlamento europeo, soprattutto in vista delle prossime elezioni. «La premier Meloni si trova nella scomoda posizione di dover difendere una ragazza con cui non è d’accordo per niente oppure, come sta provando vagamente a fare, difendere Orbán prendendosi tutte le accuse dell’opposizione per aver difeso un’autarchia. Il tal senso Orbán sta creando enormi problemi a Meloni con cui ha un rapporto che potremmo definire ondivago su diverse questioni, non ultima quella delle alleanze elettorali. Orbán non appartiene a nessuno schieramento, eppure i 14, forse 15, parlamentari che otterrà pesano.

Idealmente il suo gruppo sarebbe quello dell’Ecr ma bisognerà vedere cosa sceglie Meloni». Si pensi, ad esempio, alla partita che Orbán ha giocato a dicembre sullo status dell’Ucraina come candidata all’ingresso nell’Ue. «Abbiamo assistito davvero a un baratto e la cosa da rilevare è che ancora una volta il premier ungherese si è convinto che può fare ciò che vuole perché l’Ue glielo permette. E glielo ha permesso ormai diverse volte. Quindi il suo ragionamento è ‘se mi è andata bene finora, perché non dovrebbe andar bene un’altra volta?’».

INOLTRE, c’è l’immagine che Orbán vuole dare di sé agli ungheresi. «Quando analizziamo il caso il caso Salis c’è da pensare anche questo: Orbán si propone alla popolazione come l’uomo dell’ordine. Non importa da dove arrivi la minaccia, il leader interviene con il pugno di ferro e con tanto di clamore mediatico. L’ideologia dell’ordine anche se è un ordine schifoso, illiberale e liberticida. E su questo Orbán finora ha sempre raccolto consensi alle varie tornate elettorali».