Il Covid19 ha stravolto l’agenda delle notizie incidendo sulla narrazione del fenomeno migratorio, meno presente rispetto al passato. I toni però sono rimasti gli stessi. E’ su questa evidenza che si snoda l’ottavo rapporto con cui Carta di Roma analizza, insieme all’Osservatorio di Pavia, «quanto, come e quando i media italiani hanno raccontato le migrazioni».

«Notizie in transito» è il nome del dossier presentato ieri, scelto proprio pensando all’anno che sta per chiudersi: «transito» «come viaggio di migranti; come movimento vietato dai decreti sicurezza, dalla chiusura dei porti, dalle quarantene; come diffusione del virus». Transito come passaggio: perché il 2020 e la pandemia che l’ha segnato rappresentano una discontinuità con quanto finora conosciuto, anche per quanto riguarda la narrazione mediatica del fenomeno migratorio.

L’analisi di Carta di Roma e Osservatorio di Pavia, da sempre focalizzata su quotidiani e telegiornali delle tre reti principali quest’anno si è allargata a Facebook e Twitter «per l’importanza che hanno nella formazione dell’opinione pubblica», sottolinea la coordinatrice di Carta di Roma, Paola Barretta. Uno studio diviso su tre livelli che cattura una stessa immagine, ossia la riduzione delle notizie relative al fenomeno migratorio: -34% sui quotidiani, rispetto al 2019.

Da questa osservazione generale il rapporto mette in luce alcune cornici in cui i media inseriscono la narrazione delle migrazioni, identificando come centrale quella relativa ai flussi: oltre la metà delle notizie si sono focalizzate sugli arrivi, dividendosi tra cronaca e discorso politico e concentrandosi sugli sbarchi. «Sono tralasciati gli arrivi via terra e aria» sottolinea la portavoce dell’Unhcr Carlotta Sami, evidenziando la preoccupante assuefazione della società alle morti in mare.

Se si guarda ai titoli dei quotidiani e ai dati del Viminale «da gennaio a ottobre si ha una media di un titolo ogni quattro persone sbarcate» nota Giuseppe Milazzo (Osservatorio di Pavia) sottolineando come dal 2013 a oggi il minimo comun denominatore della narrazione legata alle migrazioni sia sempre stato l’emergenza: «Il lessico legato al fenomeno migratorio delinea una cornice di crisi infinita e endemica» con un linguaggio che, con parole come invasione, allarme, ondata, richiama il lessico bellico. Una narrazione che nei termini si è intrecciata a quella sul Covid19: anche in questo caso le parole utilizzate (coprifuoco, eroi in trincea..) hanno ripreso uno scenario di guerra.

Nella scelta di termini e temi un ruolo importante lo gioca la politica, per cui «siamo più condizionati dalla propaganda che non dal racconto dei fatti reali», sottolinea il presidente di Carta di Roma Valerio Cataldi. L’arrivo della pandemia secondo Cataldi «ha incattivo l’aspetto peggiore di questo racconto. Prima c’erano i clandestini, oggi ci sono i clandestini infetti»: nel 13% dei titoli analizzati i migranti sono indicati come veicolo di contagio, in una narrazione che fa da sponda alla costruzione di una paura resistente nel tempo. E sulla paura si sofferma il direttore di Demos&PI Ilvo Diamanti, parlando di «bisogno della paura, in particolare guardando al mondo della comunicazione e della politica».

Un bisogno palesato indirettamente proprio dalla crisi sanitaria: «Da oltre vent’anni i dati dei crimini in Italia sono rappresentati da una linea piatta e bassa, eppure negli ultimi anni la criminalità è stato il tratto caratterizzante della comunicazione del fenomeno migratorio. La percezione ha sostituito la realtà». Quest’anno però qualcosa è cambiato: «La criminalità e il suo presunto legame con l’immigrazione non ha pesato nei titoli dei giornali. In generale è crollata la narrazione sulle migrazioni: è arrivato un altro nemico».

Se la criminalità come nucleo semantico è il grande assente di quest’anno, presente solo nell’1,5% dei titoli analizzati, ci sono due altre grandi lacune nella narrazione: l’accoglienza e i protagonisti dei percorsi migratori. La prima nei tg è passata a occupare una percentuale del 28% nel 2018 all’attuale 4%, e migranti e rifugiati hanno voce solo per un 7% sul totale dei servizi dedicati al fenomeno.