Non si sarà trattato, magari, di un plebiscito sull’attuale governo come voleva far credere l’opposizione, ma di certo le elezioni regionali che si sono svolte domenica in Colombia hanno rappresentato per il presidente Gustavo Petro una sconfitta molto amara.
La storica svolta a sinistra registrata nel paese nel 2022, quando il Pacto Histórico non solo aveva conquistato la presidenza ma si era trasformato nella principale forza al Congresso, sembra infatti essersi esaurita dopo appena un anno. Tuttavia, avvertono molti politologi colombiani, alle elezioni regionali entrano in gioco fattori diversi rispetto alle presidenziali. Tanto più che il Pacto Histórico non è solo un movimento ancora giovane e con scarso radicamento a livello locale, ma anche una coalizione con forti differenze al suo interno e, anche per questo, rivelatasi incapace di esprimere candidati forti nei comuni che più contano, a fronte di logiche clientelari – nel connubio tra poteri tradizionali e classe imprenditoriale locale – ancora dominanti.

Nessuno dei temi più cari al presidente si è del resto imposto durante la campagna elettorale: né l’ambiziosissimo progetto di “pace totale”; né le riforme sociali proposte, e solo in parte realizzate, dal governo; né la lotta al cambiamento climatico, anche attraverso la moratoria dello sfruttamento petrolifero. I quasi 39 milioni di elettori chiamati alle urne hanno mostrato di preoccuparsi molto di più per la questione della sicurezza, cedendo alle sirene della politica del pugno di ferro (anche nella versione proposta dal presidente salvadoregno Nayib Bukele, tanto criticato proprio da Petro), oppure optando per i volti più noti della politica, associati a strutture di partito tradizionali.

Se le forze di destra o di centro-destra hanno conquistato ben 20 delle 32 capitali dipartimentali del paese (rispetto alle 14 del 2019), la sconfitta che brucia di più è, sicuramente, quella a Bogotá: nella capitale che aveva eletto Petro con il 58% dei voti, a vincere a sorpresa già al primo turno è stato il noto l’esponente di centro Carlos Fernando Galán, figlio del dirigente liberale Luis Carlos Galán assassinato nel 1989, sulla base di un programma molto poco ideologico centrato sulla promessa di maggiore sicurezza ed efficienza. Solo terzo, con appena il 18% delle preferenze, il candidato sostenuto apertamente dal presidente, Gustavo Bolívar, preceduto anche dal tecnocrate di centro-destra Juan Daniel Oviedo.

Ma brucia non meno il fatto che a Cali, l’epicentro delle grandi proteste del 2019 e del 2021, la vittoria è andata ad Alejandro Eder, il candidato proveniente dal cuore dell’élite locale, mentre, tra i consiglieri comunali, ce l’ha fatta Andrés Escobar, noto per essere stato filmato, durante la rivolta sociale del 2021, mentre sparava contro un gruppo di manifestanti e sostenuto da più di 130 pastori di chiese cristiane.

Dei sette candidati che contavano sull’appoggio deciso di Petro, solo tre hanno avuto la meglio: ad Amazonas, Magdalena e soprattutto Nariño, dove si è imposto Luis Alfonso Escobar, primo governatore afro del dipartimento, sostenuto dal movimento Soy porque Somos della vicepresidente Francia Márquez.

E ora Petro non potrà contare su nessun alleato tra i nuovi sindaci delle principali città colombiane: Galán a Bogotá e Dumek Turbay a Cartagena appartengono a forze indipendenti dal governo, e Federico Gutiérrez a Medellín – il ritorno sulla scena politica dell’uribismo -, Alejandro Char, del potente clan omonimo, a Barranquilla e Jaime Beltrán, noto come il “Bukele colombiano”, a Bucaramanga sono aperti oppositori del presidente.