Non è scattata giovedì una delle misure più impopolari del piano anticrisi annunciato lo scorso dicembre dal premier Manel Marrero per “eliminare errori e distorsioni” del modello economico cubano e “dare impulso all’economia”.

L’aumento di circa il 500% del combustibile (benzina regolare da 25 a 132 pesos : nel mercato “parallelo” del cambio da 12 a circa 50 centesimi di euro al litro, ma per il cubano de a pie una mazzata) è stato rinviato a causa di un “virus venuto dall’estero” nel sistema informatico cubano. Il piano prevede infatti la “bancarizzazione” dei pagamenti da effettuarsi con carte di debito. È stato anche rinviato il rincaro dei biglietti nel trasporto pubblico, legato all’aumento del carburante.

Giovedì, però, buona parte delle pompe di benzina della capitale erano chiuse. Senza benzina? O in attesa dell’aumento dei prezzi? Se lo sono chiesto molti cittadini, con evidente malumore, o peggio. Anche perché il mercato “parallelo” delle valute ha segnato un aumento sia dell’euro (sfiora i 300 pesos per un euro, contro il cambio ufficiale di 130 per euro) e del dollaro.

L’AUMENTO del costo del carburante fa parte di un pacchetto che prevede – tra l’altro – anche aumenti dei prezzi dell’elettricità (per i grandi consumatori), del gas liquido (in bombole), dell’acqua (per indurre al risparmio dei consumi), dei trasporti come pure la sostituzione dei sussidi ai prodotti – la cosiddetta libreta de abastecimiento – in favore dell’aiuto ai “ceti vulnerabili”. Ma prevede anche aumenti salariali per medici e insegnanti (quest’ultimi dai 500 ai 3000 pesos al mese) e la riduzione del 50% delle tasse doganali per le Mipymes (micro, piccole, medie imprese) che importino materie prime per la produzione nazionale di beni di consumo. Queste ultime misure sono già ufficiali.

Il piano anticrisi era stato annunciato dopo gli inquietanti risultati dell’economia nel 2023: una caduta del Pil dell’1-2%, inflazione interannuale superiore al 31% (ma molto più alta nel mercato “parallelo” dei beni di prima necessità), caduta al posto 32 dell’indice dello sviluppo umano, aumento del debito estero e del deficit fiscale, aumento della diseguaglianza sociale e crisi demografica che minaccia il mondo del lavoro del 2030. Dunque una crisi del modello socialista cubano.

Che si trattasse di un boccone amaro per la popolazione era evidente: il salario medio, calcolato attorno ai 4500 pesos, era già insufficiente per una canasta basica, il paniere di prodotti di prima necessità, mentre la libreta mensile – indispensabile soprattutto per i pensionati- ormai dava prodotti sufficienti solo per sopravvivere al massimo due settimane.

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PER AFFRONTARE questo situazione di estrema difficoltà, i dirigenti del partito (comunista)- governo-Stato si sono impegnati in una campagna di incontri con la popolazione per spiegare la necessità – “dovuta soprattutto allo strangolamento del bloqueo imposto dagli Stati uniti” – delle misure anticrisi: il presidente Miguel Díaz-Canel è ritornato ieri all’Avana dopo un giro di 20 giorni nell’isola. La televisione ha trasmesso in diretta alcuni incontri fra dirigenti nazionali e popolazione nei quartieri “vulnerabili” della capitale.

A gennaio è stato emesso – per decreto presidenziale – un codice etico per i quadri nazionali. E sono anche stati anche sostituiti alcuni responsabili – ministra delle Finanze e prezzi, come pure il primo segretario del Pc di Santiago. E si specula anche che il rinvio degli aumenti dei prezzi, come pure dell’annunciato “ridimensionamento” del mercato del cambio – ovvero nuovo tasso di cambio del peso cubano – sia dovuto ai risultati di tali incontri e a una probabile discussione interna al vertice comunista.

ARRIVERÀ Ulisse a Itaca? Ovvero si riuscirà a riformare il modello economico-sociale cubano mantenendo le basi di giustizia sociale della Rivoluzione?- si chiede in un lungo articolo il giornalista economico Manuel David Orrio.

Questa è di fatto la posta in ballo. Titolava ieri in apertura il quotidiano del Pc, Granma: “Il partito è continuità e fiducia nel futuro”. Lo si vedrà nei prossimi mesi. Nei quali però – e questa è un’altra pericolosa incognita – né l’amministrazione Biden né i feroci anticastristi di Miami staranno a guardare.