Lunedì scorso, anniversario della nascita di Fidel Castro, è iniziato un gigantesco programma di analisi del progetto di nuova Costituzione, approvato lo scorso 22 luglio dall’Assemblea nacional del Poder popular (il parlamento unicamerale). Sono previste 135.000 riunioni nelle fabbriche, le caserme, i luoghi di studio e di lavoro, i quartieri e anche nelle comunità all’estero.

Saranno condotte da 7.600 coppie appositamente preparate. Sono già state stampate e messe in vendita (al prezzo di circa quattro centesimi di euro) 800mila copie del testo del progetto. E comunque è possibile scaricare il testo gratuitamente nei centri internet dell’ente statale di telecomunicazioni, Etecsa. Il prossimo 24 febbraio il progetto di Costituzione sarà sottoposto a referendum popolare.

La nuova Magna carta è ispirata a un solido pragmatismo, lo stesso che ha retto le riforme economico-sociali – «attualizzazione del socialismo cubano» – messe in atto dal governo di Raúl Castro da quando, dieci anni fa, assunse la presidenza. Da allora Cuba ha iniziato un cambiamento lento, forse troppo date le esigenze della crisi globale e della popolazione, ma costante.

La nuova Costituzione in gran parte registra questi cambiamenti, che in alcuni casi violavano la precedente, varata nel 1976 e di assoluta ispirazione sovietica. Lo scopo principale è mettere le basi per modernizzare l’isola e far finalmente decollare l’economia liberandola (parzialmente) dall’inefficienza di un pervasivo e asfissiante statalismo mediante l’apertura (regolata) al mercato e alla proprietà privata, a un limitato profitto e soprattutto agli investimenti esteri.

Il tutto però conservando il controllo politico, affidato al partito (unico) comunista che rimane «la forza superiore (anche rispetto alla stessa Costituzione) dello Stato e della società» e in gran parte del pensiero unico, dato il controllo totale dell’informazione e l’assenza di un’opposizione riconosciuta.

Raùl Castro con il nuovo presidente cubano Diaz Canel

Un modello che in generale viene definito «cinese» – il più giovane dei Castro lo ha spesso preso a riferimento – ma anche retaggio, voluto e incrementato dal presidente Donald Trump, di un clima di guerra fredda, dove bisogna difendersi da una cinquantennale aggressione economica, finanziaria e commerciale (l’embargo unilaterale degli Usa) e dalle continue ingerenze e dai tentativi di Washington di mettere fine al governo socialista dell’isola.

Nel nuovo testo costituzionale, 224 articoli, viene dunque cambiato il “faro” politico, da una «società comunista» a un «socialismo prospero e sostenibile». Viene anche modernizzata la struttura dello Stato con la creazione delle figure del presidente della Repubblica e del capo del governo (attualmente ancora riunite nei poteri del presidente Díaz-Canel).

Dal punto di vista economico e sociale si riconoscono diverse forme di proprietà, statale, sociale e cooperativistica e, soprattutto, privata. Misura quest’ultima volta a stimolare quello che fino a oggi è definito il cuentaproprismo, il lavoro per conto proprio di circa 600mila persone in tutta l’isola, che dovrebbero trasformarsi in piccoli e medi (finora scarsi) imprenditori.

Viene però vietata la «concentrazione di proprietà» da parte dei privati – per impedire, come ha affermato l’attuale presidente, che «Cuba diventi uno stato capitalista» – ma non ben definita nel lato pratico. Soprattutto si riconosce e viene stimolato sia il ruolo degli investimenti esteri, sia quello regolato del mercato come importanti motori di una ripresa economica.

Infine, la nuova Costituzione prevede una riforma importante nell’ambito dei diritti civili: il matrimonio egualitario, ovvero anche tra persone dello stesso sesso. La proposta è stata spesso commentata con uno storico pregiudizio da molti mass media internazionali – compresi quelli italiani – che l’hanno definita una misura per tentare di offrire al mondo un’immagine di paese moderno, al passo con i tempi. O una sorta di “toppa” per coprire la violazione di diritti umani (come la libera espressione).

Perdipiù si dice si tratti di una proposta voluta (e difesa con coraggio) da Mariela Castro, figlia minore di Raúl (che un serioso giornale italiano definisce addirittura lesbica): dunque una sorta di privilegio dinastico. Senza capire che – come spiega Rubén Gallo, professore di lingua spagnola a Princeton e autore di Teoria y practica de la Habana – si tratta «di una rivoluzione nella Rivoluzione» in un paese dalle tradizioni patriarcali e machiste (eredità della Spagna) e dove negli anni ’70 gli omosessuali venivamo mandati in campi di lavoro forzato.

Cuba torna così all’avanguardia nel subcontinente latinoamericano scosso in questi giorni dalle lotte di massa in Argentina e Brasile per ottenere l’aborto libero (e in precedenza in Cile per ridurne le restrizioni). L’interruzione della gravidanza libera e gratuita in America latina è ammessa solo a Cuba (nelle prime dieci settimane), in Uruguay e nel Distretto federale di Città del Messico (nelle prime dodici settimane). L’approvazione del matrimonio ugualitario è un ulteriore passo avanti, non indolore vista la resistenza dei «talebani» del Pc e di parte della società.