L’avvertimento «le guerre future si faranno per l’acqua» non si è finora tradotto in scontri armati fra Stati. Ma la domanda globale di oro blu continuerà ad aumentare e intanto, secondo lo Stockholm International Peace Research Institute (Sipri), la sua disponibilità potrebbe ridursi del 20-40% a causa dei cambiamenti climatici. Tutto questo mentre molti fra i paesi più poveri di risorse idriche sono martoriati da eventi bellici.

WATER CONFLICT CHRONOLOGY, un accurato data-base del centro di ricerca Pacific Institute, cataloga annualmente centinaia di situazioni conflittuali raggruppandole in tre categorie: l’acqua usata come arma durante una guerra, l’acqua «vittima» di azioni militari, l’acqua come elemento scatenante di tensioni. Anche nel 2023 si registra un aumento di casi. Le prime due categorie, in contrasto con le convenzioni di Ginevra, si riscontrano in diversi scenari bellici attuali, da Gaza al fronte turco-siriano, dall’Ucraina al Sudan.

La terza tipologia comprende, oltre agli attriti inter-statuali, svariati casi locali di competizione per gli usi idrici (per esempio fra pastori e agricoltori) e di rivolte sociali per il mancato accesso all’acqua e ai servizi igienico-sanitari (l’insieme è definito Wash nel linguaggio onusiano). Inoltre, una ricerca intorno al (più che sofferente) lago Ciad mostra che gruppi armati e terroristi possono avvalersi della scarsità di acqua per controllare territori e popolazioni.

LE ACQUE TRANSFRONTALIERE continuano a essere motivo di tensione – non armata. Vi dipendono oltre tre miliardi di persone, ma solo un terzo dei bacini transfrontalieri gode di veri accordi di cooperazione fra gli Stati interessati (Un-Water, 2021). Fra i teatri di tensione, il più emblematico riguarda il bacino dell’Eufrate e del Tigri. Già nel 2500 a.C. le due città-Stato sumere di Lagash e Umma vennero alle armi per l’approvvigionamento idrico dai due fiumi. E adesso?

«L’EUFRATE MORIRA’ NEL 2040», ha detto il ministro iracheno per le risorse idriche Aoun Diab Abdullah. Il fiume, il più lungo dell’Asia occidentale, ha nutrito insieme al Tigri una delle culle della civiltà. Entrambi nascono in Turchia e confluiscono nel bacino iracheno dello Shatt-el Arab prima di sfociare nel Golfo persico. L’Eufrate attraversa Siria e Iraq, il Tigri l’Iraq, ma ha affluenti anche dall’Iran (che non è considerato paese rivierasco del bacino e con il quale l’Iraq ha finalmente una buona cooperazione in materia).

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In un’area del mondo molto arida, l’Eufrate è fonte vitale di acqua dolce per 23 milioni di persone, oltre a ospitare un’importante e negletta biodiversità. Da tempo è minacciato sia dalle dighe a monte, in territorio turco (soprattutto a scopi idroelettrici), sia dalla riduzione della pluviometria e dalla maggiore evaporazione legate al cambiamento climatico, sia dagli usi importanti, spesso inefficienti. L’Iraq rivendica una quota equa di flusso idrico, ma con la Turchia a monte non è vita facile per i due paesi a valle, come analizza l’approfondimento Turkey, Syria and Iraq: Conflict over the Euphrates-Tigris dell’iniziativa Climate Diplomacy.

L’IRAQ È IL QUINTO PAESE PIÙ VULNERABILE ai cambiamenti climatici. Con le temperature e la pluviometria ridotta, negli anni di magra la disponibilità di acqua nel bacino dei due fiumi è metà di quella registrata nel passato. Il Tigri ultimamente è stato benedetto dalle piogge, così l’invaso della diga di Mosul ha accumulato una certa riserva. Ma l’Eufrate è ai minimi termini – proprio come molti laghi. L’instabilità che regna nel paese dall’invasione anglo-statunitense del 2003 rende ardua anche la gestione idrica.

ALLA SIRIA, SECONDO UN TRATTATO del 1987 fra Damasco e Ankara (nel 1975 si era arrivati quasi alle armi per via dei prelievi concomitanti in un periodo siccitoso; mediarono i sauditi), andava garantito un flusso di 500 metri cubi al secondo. Ma già pochi anni dopo Damasco denunciava l’arrivo di soli 200 metri cubi. Nel 2011 con la guerra in Siria i rapporti peggiorano per via del posizionamento turco sia contro Damasco che contro l’amministrazione curda nel nord-est. Gli attacchi turchi anche di recente hanno danneggiato infrastrutture idriche ed energetiche, peggiorando lo stato si sofferenza degli agricoltori e della popolazione. L’Eufrate copre la quasi totalità della disponibilità di acqua per l’agricoltura siriana.

DUNQUE E’ ANCHE COLPA DELLE GUERRE, condotte o alimentate da potenze esterne – regionali e occidentali – se l’Eufrate è in pericolo. Decenni di negoziati non hanno portato a un accordo definitivo, trilaterale, in grado di far fronte alle sfide legate al clima ma anche al degrado delle risorse.

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IL NILO, UN ALTRO GIGANTE CONTESO, alimenta la Grande diga etiope della rinascita (Gerd) iniziata nel 2011 e riempita per la prima volta nel 2000, con conseguente riduzione del flusso idrico a valle, in Egitto e Sudan. Nel 2023, quattro round di colloqui fra i tre paesi non hanno portato ad alcun accordo vincolante sul riempimento e sull’operatività della Gerd, malgrado il tentativo di mediazione dell’Unione africana. Nel Sudan martoriato dalla guerra civile, l’ex ministro dell’irrigazione Othman al Toam ha detto che la riduzione della portata del Nilo blu avrà pesanti ripercussioni sulla stagione agricola. Quanto all’Egitto, nel settembre 2023 ha bollato come «nuova violazione» l’annuncio etiope della quarta fase di riempimento.

FRA INDIA E BANGLADESH I RAPPORTI IDRICI sono tesi da decenni a causa della diga di Farakka. Già nel 1976 il leader contadino Maulana Bhasani di 80 anni guidò un massiccio pellegrinaggio fra Dhaka e la frontiera indiana, per denunciare al mondo i danni a valle dovuti all’operazione unilaterale della diga. Una soluzione soddisfacente non è mai stata trovata. Il Nepal, luogo di origine del fiume, non è nemmeno stato coinvolto. Cosa succederà quando nel 2026 scadrà il traballante «trattato sul Gange» firmato nel 1996? La Convenzione internazionale sui corsi d’acqua (1977) suggerisce di risolvere le dispute fluviali con il principio dell’equità nella suddivisione e nell’utilizzo. In seguito si è stabilito anche che le acque transfrontaliere sono una risorsa naturale indivisibile e che il fiume va trattato come un’entità vivente.

COOPERAZIONE E DIPLOMAZIA DELL’ACQUA, fra gli Stati e fra le comunità, sono operazioni di peacebuilding e peacekeeping, secondo il Pacific Institute e le organizzazioni dell’Onu. La via per disinnescare molti conflitti è la gestione sostenibile delle risorse naturali: protezione del bene acqua, degli ecosistemi, delle foreste, agricoltura sostenibile.