Notte di vento che passa, l’ultimo romanzo di Milena Agus, edito da Mondadori (pp. 177, euro 18.50), è una storia che contiene molti racconti, tanti testi, poesie, autrici e autori. «Letterarizzare» è, in effetti, l’azione principale svolta dalla protagonista di questo libro: Cosima, il cui nome è un chiaro riferimento sia al romanzo di Grazia Deledda, in cui un’altra Cosima vuole diventare scrittrice, sia a Il barone rampante di Italo Calvino.
La storia racconta di un anno di vita della ragazza, quello della maturità, che continua evidentemente a essere un momento foriero di grande ispirazione, visto il numero di romanzi di recente pubblicazione che si concentrano su questa fase di passaggio. Per Cosima, come lei stessa racconta rivolgendosi a lettori e lettrici all’inizio del testo, è stato un anno «epocale».

LA SUA È UNA FAMIGLIA che potrebbe essere considerata povera, anche se Agus specifica che: «persino la miseria dipende dal punto di vista e forse proprio poveri non lo eravamo». Continua poi elencando tutti i privilegi di cui gode la famiglia protagonista, che in Occidente diamo sempre per scontati: poter fare tre pasti al giorno, avere un tetto sulla testa, un televisore, studiare. Certo è che Cosima, sua madre, suo padre e il fratellino vivono in paese in casa con la nonna fino a che non si trasferiscono a Cagliari, in una casa minuscola, dove sopravvivono coi soldi che la mamma guadagna facendo le pulizie e i doni di cibo che provengono dall’orto della nonna e da zia Ausilia.

In una situazione che ha aspetti difficili e dolorosi, Cosima sceglie di sognare e di farlo attraverso le storie e i personaggi letterari. A spingerla in questa direzione è la sua professoressa di lettere che sprona tutti i suoi alunni e alunne a ricercare nella letteratura la medicina per le loro sofferenze e a credere nel futuro, ma solo con Cosima insiste perché si dedichi alla scrittura. La donna insegna loro a non rassegnarsi al fatal flow: «a fare sempre lo stesso errore, o a conservare a tutti i costi un modo di vivere che ormai non funziona più», li invita a indossare, da sardi, «l’abito del dissenso». Nel romanzo, infatti, emerge il tema dello spopolamento dei paesi che affligge la Sardegna come molti luoghi del sud Italia, il rigetto verso i lavori agricoli e la pastorizia, la sudditanza a un sistema che non porta vantaggi. La politica, però, non fa per Cosima, lascia che sia il suo migliore amico Abya Yala a occuparsene: lui, nato e cresciuto a Cuba da genitori sardi e tornato in Italia a malincuore, vive per aiutare le persone davvero povere, disprezzando la gente del «Nord del mondo», tranne Cosima.

COME AGUS STESSA SCRIVE nella nota finale, questo romanzo è un tentativo di raccontare tante ingiustizie: la povertà, la depressione che annienta la vita della madre di Cosima, figlia illegittima rifiutata dalla famiglia del padre naturale, il mal d’amore che affligge la protagonista quando l’uomo di cui si innamora l’abbandona senza dirle una parola. Agus decide di farlo ricorrendo alla letteratura, da una parte perché si tratta del suo mondo e le viene naturale e dall’altra mostrando come tutta la sofferenza dell’umanità sia già stata raccontata e come questa possa essere, a ben pensarci, la più grande consolazione possibile. Un ulteriore dono è la sua scrittura: la capacità di creare una prosa semplice e immaginifica, di dare vita a dei personaggi e delle personagge di cui si desidera la compagnia, permettendo allora quell’esperienza che è quella vissuta da Cosima stessa, cioè cercare e trovare nella lettura il piacere dello stare al mondo, per quanto ingiusto esso possa essere.