Questa volta sono stati i sindacati a far cambiare idea a Draghi. Convocati alle 15 per la sola comunicazione di come sarebbe stato il decreto concordato il giorno prima con la maggioranza – allungamento del blocco dei licenziamenti per il solo settore tessile più le aziende in crisi e altre 13 setti mane di cassa integrazione gratuita per le stesse imprese – Cgil, Cisl e Uil erano arrivate già battagliere: «Non adremo solo ad ascoltare», aveva promesso Maurizio Landini.

E proprio il suo intervento spaleggiato da quelli di Luigi Sbarra e Pierpaolo Bombardieri hanno aperto una crepa nella monolitica compattezza di Draghi. Una crepa in cui si era già inserito il ministro del Lavoro Andrea Orlando che da giorni lavorava ad una proposta più ampia: allargare il blocco non per settori ma per quantità d’uso della cassa integrazione negli ultimi mesi. In pratica le aziende che ne avevano usata molta non avrebbero potuto licenziare ma in cambio avrebbero avuto altre settimane di cig gratuite. Una proposta che non aveva ottenuto l’appoggio politico dell’intera maggioranza e che Draghi aveva stoppato, esattamente come fece una settimana dopo il consiglio dei ministri del Sostegni bis cancellando il prolungamento al 28 agosto proposto dallo stesso Orlando.

A Cgil, Cisl e Uil questa proposta non sarebbe bastata. E allora hanno avanzato una proposta già anticipata da Maurizio Landini nel suo comizio di sabato mattina a piazza Castello a Torino, sebbene in pochi se fossero accorti – «Lancio una sfida alle imprese: come abbiamo fatto noi all’inizio del Covid, si prendano la responsabilità di usare la cassa integrazione, per loro gratuita, e non i licenziamenti. Nel caso del protocollo sulla sicurezza abbiamo impiegato 18 ore a sottoscriverlo». Un patto – «avviso comune» è diventato – con cui Confindustria si impegna a non usare i licenziamenti ma a usare tutti gli strumenti alternativi, oltre alla cig, contratti di solidarietà, riduzioni di orario.

Una proposta che il governo ha accettato ma le lunghe ore di attesa sono servite allo stesso Draghi per convincere il recalcitrante Carlo Bonomi a firmare un impegno simile. Sebbene non abbia valore legale coercitivo – se un’azienda non lo rispetterà e licenzierà i suoi lavoratori invece di usare strumenti alternativi non potrà essere sanzionata – questo «avviso comune» è assai impegnativo per Bonomi: si era rivenduto il via libera ai licenziamenti deciso da Draghi come una sua vittoria, portando lo scalpo di Landini in dono ai suoi amici falchi . Così deve fare marcia indietro, molto più di Draghi.

Le lunghe ore di attesa dopo il primo stop al confronto governo-sindacati sono servite per cercare da un lato di allargare il perimetro del blocco e dall’altro di concordare il testo dell’«avviso comune» governo, imprese, sindacati in cui le imprese si impegnano ad utilizzare tutti gli strumenti prima di far ricorso ai licenziamenti.

Serviva soprattutto chiarire la natura delle 13 settimane aggiuntive. Per Cgil, Cisl e Uil andava confermato il modello utilizzato per la cassa Covid: le aziende non devono poter licenziare prima di aver esaurito tutte le 13 settimane. Andava poi esteso l’utilizzo del periodo aggiuntivo ai lavoratori di tutte le realtà coinvolte ai tavoli di crisi regionali e provinciali, e non solo a quelli al Mise, come inizialmente previsto dal governo.
Infine l’«avviso comune» andava allargato alle altre rappresentanze datoriali – Confapi e Cooperative – per vincolare le aziende associate escluse dal novero delle eccezioni ad utilizzare, prima di licenziare, tutti gli strumenti istituzionali e contrattuali a disposizione.
Ma superato l’ostacolo Bonomi – e c’è voluta la diplomazia di Draghi per riuscirci – il cammino è stato in discesa.

I sindacati non festeggiano – la loro proposta era di estendere il blocco per tutti i lavoratori a fine ottobre – ma «il passo avanti è notevole». E Bonomi è stato piegato.