Si è protratto oltre la mezzanotte di lunedì l’ultimo round dei colloqui tra il governo francese e i dirigenti di diversi partiti della Corsica. Alla fine dell’incontro, però, è arrivato un consenso di massima al riconoscimento di uno statuto di autonomia dell’isola da varare attraverso una riforma costituzionale.

A trattare con il ministro dell’Interno Gérald Darmanin, a Parigi, era stata invitata una delegazione composta da otto rappresentanti di varie formazioni politiche isolane – regionaliste, nazionaliste o espressione locale dei partiti francesi di centrodestra – e guidata dal presidente del Consiglio Esecutivo della Corsica, Gilles Simeoni.

Il testo riconosce all’isola, ceduta dalla Repubblica di Genova alla Francia nel 1768, un certo grado di autonomia amministrativa simile a quella concessa ai cosiddetti “territori d’oltremare”, cioè le ultime colonie di Parigi sparse in America, Africa e Oceania.

Fondamentalmente, l’accordo concede alle istituzioni isolane la facoltà di adattare i provvedimenti legislativi e normativi varati dal parlamento francese, ma anche un certo grado di potere normativo, sia legislativo sia regolamentare, sottoposto al controllo del Consiglio di Stato e della Corte Costituzionale, su una serie di competenze che però lo stringato documento – di una sola pagina – non definisce. I dettagli dovrebbero essere demandati ad una legge organica che evidentemente diventerà oggetto di una ulteriore trattativa.

«La Corsica gode di uno status d’autonomia all’interno della Repubblica, che tiene conto dei suoi interessi, legati alla sua insularità mediterranea e alla sua comunità storica, linguistica e culturale, che ha sviluppato un legame unico con la sua terra» recita il testo concordato, diffuso al termine dei colloqui da Darmanin.

Su mandato del presidente Emmanuel Macron, è stato proprio Darmanin il principale artefice dell’apertura del processo di dialogo sull’autonomia dopo l’uccisione in carcere del leader indipendentista corso Yvan Colonna da parte di un jihadista nel 2022. L’omicidio aveva scatenato massicce e spesso violente manifestazioni da parte dei nazionalisti e degli indipendentisti che evidentemente hanno impensierito il governo Macron.

Il Ministro dell’Interno ha specificato che la riforma «rispetta le linee rosse» fissate da lui e da Macron ed ha apertamente rivendicato la fermezza da parte dell’esecutivo nel respingere le richieste della controparte considerate inaccettabili.

Il testo concordato, infatti, non menziona il riconoscimento in Costituzione di un “popolo corso”, non contempla uno status di residente per gli abitanti dell’isola (chiesto per frenare l’accaparramento di terre, case e attività economiche da parte dei continentali) e neanche la co-ufficialità della lingua corsa accanto al francese.

A ben vedere si tratta di un passo avanti di natura storica soprattutto per il suo carattere simbolico, ma lo statuto proposto concederebbe alla Corsica un grado di autonomia inferiore a quello previsto per le regioni italiane a statuto speciale.

Per l’autonomista Gilles Simeoni, ex sindaco di Bastia e dal 2015 a capo dell’amministrazione isolana, quello raggiunto lunedì a Parigi è comunque un «passo decisivo» perché prevede «il principio di un potere legislativo, soggetto al controllo del Consiglio Costituzionale». Per gli indipendentisti di sinistra di Core in Fronte si tratta soltanto di un primo passo comunque positivo, mentre altri gruppi più radicali non rappresentati nell’Assemblea giudicano la bozza deludente e largamente insufficiente.

Il testo dovrà comunque essere ora discusso e approvato dall’Assemblea della Corsica nella prossima sessione e – come ha ribadito Darmanin – il processo di revisione partirà effettivamente soltanto se nel consiglio regionale si raggiungerà un consenso ampio e trasversale che vada al di là delle formazioni autonomiste e nazionaliste.

Pur di non mandare all’aria due anni di trattative e la storica occasione di aprire una prima breccia nel ferreo centralismo francese, i nazionalisti corsi potrebbero essere costretti a rinunciare ancora a qualcosa, pur di non scontentare i consiglieri regionali del centrodestra francese.

L’iter si annuncia quindi lungo, complesso e per nulla scontato; per approvare la riforma costituzionale, infatti, serve il sì dei tre quinti dei membri delle due camere riunite, e i rappresentanti dei partiti francesi di destra e centrodestra hanno già ribadito la loro forte contrarietà.